Burkina Faso. La rivolta del popolo sovrano contro le modifiche costituzionali
Le proteste sono iniziate martedì 28 quando centinaia di migliaia di persone hanno iniziato a manifestare a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, contro la decisione del governo di modificare la Costituzione e permettere all’attuale presidente, Blaise Compaoré, al potere da 27 anni, di presentarsi per un nuovo mandato alle elezioni che si svolgeranno nel 2015.
Gli assembramenti degli oppositori – rari a vedersi in un Paese dell’Africa sub-sahariana – sono andati via via infoltendosi con scontri tra manifestanti e forze di sicurezza, finché nella notte sono state anche erette barricate sulla strada principale della città. La polizia ha utilizzato gas lacrimogeni per cercare di disperdere la folla. Con lo sciopero generale indetto per mercoledì 29 sono scesi in piazza a migliaia, secondo i dati forniti dall’opposizione, i manifestanti hanno raggiunto il milione di persone, in un clima sempre più incandescente, tra striscioni con scritte “Blaise vattene” o “Non toccate l’articolo 37” che si riferisce al limite di mandato previsto dalla costituzione.
Nella giornata di giovedì – prevista per il voto del governo – migliaia di manifestanti si sono trovati faccia a faccia con elementi dell’esercito che formavano un cordono intorno al palazzo presidenziale di Ouagadougou. Centinaia di manifestanti hanno fatto irruzione nel parlamento del paese e lo hanno dato alle fiamme, prendedo d’assalto anche la televisione di Stato, che ha cessato le trasmissioni. Almeno tre persone sono morte, secondo i servizi Reuters.
Mentre il governo annullava il voto sulla revisione della Costituzione, con un annuncio del portavoce del governo che faceva appello “alla calma”, la protesta si allargava alla seconda città del Paese, Bobo Dioulasso, dove i dimostranti antigovernativi hanno appiccato le fiamme al municipio e alla sede del partito di governo, dando poi alle fiamme anche la casa del sindaco e quella del portavoce di governo, Alain Edouard Traore.
Intorno a mezzogiorno davanti al palazzo sul deserto di asfalto tra le file dei manifestanti e la guardia presidenziale, il generale Kouamé Lougue si è unito ai manifestanti dichiarandosi “pronto” ad essere il capo della transizione politica. Nella folla, davanti al palazzo Kosyam, l’inviato speciale di Le Monde, Maureen Grisot, afferma: ”Le peuple souverain est sorti. On ne va plus continuer à se laisser avoir”.
Certo il popolo sovrano del Burkina Faso è venuto fuori, non può continuare ad essere ingannato da un governo gestito per 27 anni da un uomo salito al potere nel 1987 con un colpo di Stato e dopo l’assassinio di Thomas Sankara, leader carismatico e primo presidente del Paese conosciuto per le sue battaglie contro la povertà e i suoi discorsi sul panafricanismo. Il Paese dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1960 era diventata Repubblica dell’Alto Volta, e proprio Thomas Sankara volle il nome attuale di Burkina Faso che sta a significare “la terra degli uomini integri”.
Quando le persone si chiedono perché il mondo in via di sviluppo spesso sembra mancare di leader, molti fanno notare che così tanti progressisti sono stati uccisi o deposti dai servizi segreti occidentali. La Francia è stata pesantemente implicata nella morte di Thomas Sankara del Burkina Faso, come di Ben Barka del Marocco, di Felix Moumie del Camerun e di chissà quanti altri.
Nel frattempo gli Stati Uniti si dichiarano “profondamente preoccupati” per la crisi e hanno criticato i tentativi di alterare la Costituzione, mentre la Francia ha fatto appello alla calma e ha detto che “deplora” le violenze. L’Unione europea aveva anche esortato il governo ad abolire la legge, avvertendo che avrebbe potuto “mettere a repentaglio la stabilità, lo sviluppo equo e progresso democratico”.
Sta di fatto che il popolo della “Terra degli uomini integri” è riuscito a contrastare quelle modifiche costituzionali per restare al potere, che, negli ultimi anni, sono state utilizzate in almeno otto Paesi dove alcuni presidenti sono in attività da più di trent’anni: Algeria, Ciad, Camerun, Togo, Gabon, Guinea Equatoriale, Angola, Uganda e Gibuti.