Bruegel, l’influente lobby di Mario Monti
Bruegel, l’influente lobby di Mario Monti – L’appartenenza dell’ex presidente del Consiglio a gruppi elitari, cosiddetti think tank e presunte logge è un oggetto di discussione molto inflazionato. Dal novembre 2011, ossia dal suo insediamento a Palazzo Chigi, la polemica non si è mai placata, tanto da rendere comune l’idea che il Professore sia un “uomo dei poteri forti”. Per giunta non è stato democraticamente eletto, è dunque privo di quell’elezione popolare che – nell’immaginario collettivo – concede le stimmate della legittimità democratica. Nomi di gruppi come Bilderberg, Trilaterale, finanche Illuminati hanno sconfinato il ristretto alveo dei circuiti web frequentati dai “cospirazionisti” per iniziare a rimbalzare di bocca in bocca in tutta la Penisola. Anche la stampa main stream si è occupata della questione, costituendo un fatto mai avvenuto prima. C’è dunque da riconoscere a Monti di aver sdoganato tra la pubblica opinione un tema, qual è quello dei poteri forti, altrimenti costretto vita natural durante all’oblio della dialettica virtuale.
L’occulto mondo della finanza celato a noi “ciechi”
Al nutrito e ormai conclamato elenco di lobby frequentate da Monti ne manca, tuttavia, una non meno importante delle altre. Si tratta di Bruegel, una compagine di cui il nostro primo Ministro è stato fondatore, nel 2005. Stando a uno studio pubblicato dal ricercatore statunitense James G. McGann dell’Università di Filadelfia, Bruegel è il nono think tank più influente al mondo (1). Già il nome, dietro la sua spiegazione ufficiale, cela sinistri sospetti. Per Monti e i suoi, Bruegel è soltanto l’acronimo di Brussels European and Global Economic Laboratory.
I più maliziosi rifiutano però questa interpretazione definendola di comodo, piuttosto essi ritengono che evocare il grande artista fiammingo del ‘500 sia tutt’altro che un caso. Il pittore Pieter Bruegel, infatti, è noto anche per la rappresentazione dei ciechi. La scelta di questo nome sarebbe dunque un subdolo richiamo a quel panorama occulto della finanza mondiale che è nascosto alla vista dei cittadini.
Un ricettacolo di liberisti
Finanza, appunto. Il Bruegel altro non è che l’ennesimo Salotto in cui confluiscono finanzieri da ogni latitudine (esclusivamente europea in questo caso), dall’imprescindibile comun denominatore dell’ideologia liberista. Non a caso, molte poltrone del Bruegel coincidono con quelle del Bilderberg. Del Bilderberg e gruppi affini, d’altronde, il Bruegel ha anche lo stesso obiettivo ufficiale. Ovvero, la filantropia. Sulla pagina principale del loro sito si legge che “Bruegel si è ritagliato uno spazio unico di discussione per chiunque sia interessato a migliorare la qualità della politica economica”. Secondo le ricette liberiste, s’intende.
Capire il tipo di idee che circolano da quelle parti è del resto facile, basta pensare che il successore del primo presidente del Bruegel (il fondatore Mario Monti, appunto) è stato tal Leszek Balcerowicz, già presidente della Banca Nazionale della Polonia e autore, nel 1989, del piano che prende il suo nome: una vera e propria shock economy all’insegna di privatizzazioni selvagge per trasformare nel più breve tempo possibile la Polonia in un Paese capitalista. È indicativo, inoltre, che alle riunioni del Bruegel partecipino anche rappresentanti delle più importanti multinazionali, certo interessate a tutelare e, se possibile, estendere il liberismo. Tra i nomi, spiccano Goldman Sachs, Novartis, Microsoft, Google, Telekom, EDF, General Electric, New York Stock Exchange (cioè la borsa di Wall Street), Syngenta, UBS, Mastercard. Società di mezzo mondo, tranne che italiane.
Bruegel e l’Italia
In compenso, di italiani – oltre al presidente onorario Monti – ne figurano altri tre nella squadra di Bruegel. L’unica donna è la “principessa comunista” Letizia Reichlin, figlia di due esponenti del Pci, economista spesso ospite nei salotti televisivi come paladina del libero mercato. Gli altri due nomi che compaiono in lista sono quelli di Vincenzo La Via e Vittorio Grilli. Guarda caso, nominati da Monti rispettivamente: Direttore generale del Tesoro il primo, ministro dell’Economia e delle Finanze il secondo.
Anche in ragione di questi “incarichi mirati” nei dicasteri, una volta di più vale la pena porsi una domanda: il governo Monti ha perseguito il bene comune dell’Italia oppure dentro l’agenda politica del Professore si nascondono le mission aziendali delle multinazionali che stanno dietro il Bruegel? Al seggio elettorale l’ardua sentenza?
di Federico Cenci
(1) http://www.gotothinktank.com/wp-content/uploads/2012/01/2011GlobalGoToThinkTanksReport-UNEditionWITHOUTLETTER.pdf