Forse la telenovela Brexit è giunta al suo ultimo episodio. Non è ancora chiaro chi sarà a subire le conseguenze più nefaste, i risvolti di una decisione che all’epoca sorprese il mondo intero e che diede avvio a quello che vene poi definito “populismo 2.0”. Per ricordare a qualche anno di distanza come andarono le cose, bisogna tornare all’alba del 23 Giugno del 2016 quando cambiarono definitivamente le sorti della Gran Bretagna e dell’Europa.
Con un risultato che nella notte nessuno avrebbe mai pronosticato, l’indomani si ebbe la sorpresa quando si lessero i risultati finali che videro prevalere i favorevoli alla Brexit con un 51,89%, mentre coloro che venivano dati per favoriti alla vigilia, ossia i Remain, si fermarono al 48,11%. Tanti, ma non bastarono e da quel momento si incrinarono ancora di più i rapporti tra Scozia ed Irlanda del Nord che si sono sempre espressi per il “Remains”.
Da ricordare che tutto nacque dall’idea dell’allora premier David Cameron che nella sua campagna elettorale promise agli elettori, in caso di rielezione, di rinegoziare l’adesione del Regno Unito all’Unione Europea. Promessa che mantenne con le conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti, ma molti non ricordano che lo stesso Cameron fece campagna per il “Remains” invitando i suoni connazionali a votare per quella scelta e promettendo di dimettersi se il referendum avesse avuto un esito per lui negativo. Cosa che in effetti fece, lasciando a Theresa May l’arduo compito di portare avanti le manovre per la Brexit.
Tornando ai giorni nostri, con il fallimento delle trattative avviate da Theresa May, le sue dimissioni e l’avvento di Boris Johnson divenuto nuovo premier e colui che si intesterà il merito della fumata bianca, quella avvenuta ieri a Bruxelles, un’intesa che Juncker ha definito “Equa ed equilibrata”
L’accordo deve essere approvato dal Parlamento di Londra e questo dovrebbe avvenire Sabato 19 Ottobre. È stato lo stesso Johnson a chiedere di spingere sull’acceleratore dell’approvazione con un tweet: “Abbiamo un nuovo grande accordo che riprende il controllo: ora il Parlamento dovrebbe concludere la Brexit, così possiamo passare ad altre priorità come il costo della vita, il servizio sanitario nazionale, i crimini violenti e il nostro ambiente”. Il premier inglese ha omesso l’atteggiamento negativo tenuto dagli alleati unionisti nord irlandesi del Dup, ma sottolinea come il nuovo accorda abolisca il famigerato “Backstop” sottolineando come sarà il popolo nord irlandese ad essere responsabile della leggi che lo governano ed avrà piena libertà decisionale se deciderà di mettere fine all’accordo.
L’accordo trova la sua base in quello delineato nel 2018: dopo mesi di resistenze il governo britannico guidato da Boris Johnson aveva accettato di fare tre importanti concessioni per venire incontro alle richieste dell’Ue. Tutte e tre sono confluite nell’accordo finale, ed erano punti su cui fino all’altro giorno il Regno Unito non sembrava disposto a cedere. Una cosa molto importante, questi compromessi non faranno più parte di un periodo di transizione, come prevedevano gli accordi precedenti negoziati dal governo di Theresa May, ma sono definitivi.
Primo: dopo il periodo di transizione, cioè un anno e mezzo in cui l’Ue e Regno Unito si prepareranno per l’uscita definitiva. Il Regno Unito si impegna a non fare concorrenza sleale ai Paesi europei nei campi dell’energia sostenibile e dei diritti dei lavoratori (è il cosiddetto level playing field). Era una richiesta avanzata da tempo dai negoziatori europei, che temono che per rilanciare l’economia britannica e attirare gli investimenti delle aziende il Regno Unito potrebbe offrire condizioni inferiori agli standard europei.
Secondo: l’Irlanda del Nord rimarrà nel territorio doganale britannico – cioè applicherà gli stessi dazi validi nel resto del Paese per i prodotti importati dall’estero – ma al contempo sarà allineata all’unione doganale europea, che stabilisce dazi uguali in tutta l’Ue. La conseguenza di questa ambiguità è che ci saranno dei controlli, presumibilmente nel mare di Irlanda. I dazi britannici saranno applicati a tutti i prodotti che non «corrono il rischio di essere commerciati nell’Ue», cioè resteranno nell’Irlanda del Nord, mentre per tutti gli altri prodotti verranno applicati i dazi europei. Il governo precedente di Theresa May non prese nemmeno in considerazione questa ipotesi perché secondo loro introdurre controlli fra Irlanda del Nord e resto del Paese violava l’integrità territoriale del Regno Unito.
Terzo: il partito che rappresenta gli unionisti irlandesi, il Dup, che appoggiano il governo dei Conservatori britannici, non avrà più il diritto di respingere le condizioni dell’accordo per l’Irlanda del Nord, come prevedeva la prima proposta di Boris Johnson. Questa opzione è stata sostituita da un voto che l’intero Parlamento nord irlandese terrà dopo quattro anni dell’entrata in vigore dell’accordo.
L’unico punto che al momento rimane in sospeso è il regime dell’Iva in Irlanda del Nord, di cui il testo dell’accordo parla in maniera generica. L’Unione Europea aveva proposto che fosse allineato a quello europeo, cioè in sostanza a quello dell’Irlanda, ma in questo modo il Regno Unito avrebbe perso una certa quota di sovranità fiscale sull’Irlanda del Nord. Sarebbe un altro aspetto su cui la regione sarebbe più vicina all’Irlanda che al resto del Regno Unito.
di Sebastiano Lo Monaco