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Brasile: un Paese impantanato nella crisi della presidenza Rousseff

di Salvo Ardizzone

A ottobre Dilma Rousseff è stata rieletta sul filo del rasoio, oggi la sua presidenza scricchiola paurosamente sotto il peso di inchieste giudiziarie e crisi economica.

Lo scoglio più grosso su cui rischia d’infrangersi è sempre lo scandalo Petrobras, le tangenti fluite come un fiume al colosso petrolifero di stato e da lì dirottate nelle casse del Partito dei Lavoratori della Rousseff. L’inchiesta ha avuto recentemente un’accelerazione con il fermo e il lungo interrogatorio di Joao Neto, tesoriere del partito, indicato da alcuni arrestati come il collettore delle tangenti che fra il 2004 e il 2012 diversi imprenditori pagavano per assicurarsi lauti appalti. Ormai delle decine di indagati sono diversi che, messi alle strette, hanno cominciato a collaborare con i giudici e, anche se il segreto istruttorio per adesso tiene, si sa che sono molti i politici sotto inchiesta.

La Petrobras è stata una docile serva del potere, buona per assicurare sottobanco fondi senza fine, ma inetta oltre ogni dire nella gestione delle ingenti risorse energetiche del Paese, tanto che dal 2010 ad oggi, fra scelte strategiche ottuse e investimenti sbagliati, il suo valore è calato da 12,6 a 4,2 Mld di Euro.

Fra errori e scandali la sua dirigenza, un tempo potentissima, sta crollando; pochi giorni fa s’è dimessa la presidente Graça Foster, legatissima alla Rousseff che ha fatto di tutto per evitare quelle dimissioni, perché ora si trova senza uno scudo prezioso che la protegga dal fango dell’inchiesta. Con lei si sono dimessi cinque alti dirigenti, e pare solo l’inizio del crollo d’un vecchio sistema di potere.

A parte questo scandalo, che insegue il Presidente dal 2012, c’è anche un’economia stagnante a far precipitare il suo gradimento: il 2015 doveva essere l’anno del rilancio che nelle promesse elettorali doveva riportare il Brasile alla crescita vorticosa dei tempi di Lula, invece, secondo il Fmi, sarà già tanto se avrà una crescita dello 0,3%. Ad aggravare il quadro c’è pure la più grande siccità degli ultimi 80 anni che, fra proteste e disagio sociale, ha messo in luce tutte le pecche organizzative ed infrastrutturali del Sistema Brasile ed ha fatto crollare drasticamente i raccolti.

Mentre il blocco di potere riunitosi attorno alla Rousseff annaspa fra inchieste, difficoltà economiche e calamità naturali, gli equilibri politici vanno mutando.

Le elezioni del 5 ottobre hanno dato al Paese il Congresso Federale ed il Senato più reazionari degli ultimi cinquant’anni; non importa a quale partito aderiscano, in Brasile i parlamentari si organizzano in base agli interessi che rappresentano e un primo risultato s’è visto con l’elezione di Eduardo Cunha, candidato dell’opposizione, alla Presidenza della Camera: un conservatore a tutto tondo, che sta coagulando gli interessi di possidenti terrieri, ex militari, leader religiosi e così via.

Se l’inchiesta Petrobras incrinerà il muro d’omertà che sin’ora ha protetto Rousseff e gli alti vertici del Partito dei Lavoratori, è sicuro che si spalancherà una sfida per l’impeachment del Presidente, e con la pessima prova che sta dando si sé, è assai difficile che a Dilma sia risparmiata una rovinosa caduta. E con lei il Brasile che, grazie a scandali, colossali bustarelle, violenza diffusa e inetta conduzione dell’economia, finirebbe in braccio a una congrega dei peggiori reazionari.

E tanti saluti a giustizia sociale, rispetto per l’ambiente e diritti civili.       

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