Brasile: scandalo Petrobras e le mani sporche degli Usa
Lo scandalo Petrobras (la compagnia petrolifera di Stato brasiliana) sembra cucito apposta per mettere in imbarazzo la “presidenta” Dilma Rousseff, troppo. Intendiamoci, il marcio c’è, eccome, ma ci sono molte mani a pilotarlo dritto contro di lei per costringerla a un passo indietro, o comunque a disfarsi della società, a beneficio di petrolieri e banchieri che non aspettano altro.
L’”affaire” nasce a marzo del 2013, quando la Polizia Federale coglie l’ex direttore di Petrobras, Roberto Costa, mentre riceve un’auto di lusso come mazzetta; incastrato, Costa comincia a collaborare, mettendo le ali a un’inchiesta che da tempo indagava sull’acquisto di una raffineria a Pasadena, nel Texas.
Il meccanismo, che era stato utilizzato per decenni, era semplicissimo: la Petrobras affidava appalti a ditte private, queste gonfiavano le fatture creando fondi neri che andavano a faccendieri, lobbysti e politici che, a loro volta, favorivano i vertici della compagnia. Qualche settimana fa è uscita la lista dei corrotti: comprende 50 indagati fra cui i Presidenti di Camera e Senato, deputati, governatori ed ex ministri.
Rousseff è stata più volte esclusa dai fatti, almeno dal punto di vista giudiziario, ma ne esce comunque piuttosto male, visto che all’epoca dei fatti era nel Consiglio di Amministrazione di Petrobras e poi Ministro dell’Energia: o sapeva, cosa fin’ora esclusa dalle indagini, o non s’era accorta del verminaio che aveva attorno, facendo una pessima figura.
È ovvio che l’opinione pubblica è insorta, aizzata da un’opposizione che punta a sbarazzarsi della Rousseff e che soffia a più non posso sul fuoco, aiutata da una situazione economica preoccupante e da pesanti speculazioni internazionali che hanno preso di mira Petrobras.
Il fatto è che dietro le proteste e le posizioni anti governative più dure, si muovono pesanti interessi esterni, che hanno origine dalle parti di Washington: il Brasile, con Lula, aveva iniziato a espandere la sua influenza verso l’America centrale e caraibica con una serie di investimenti e di iniziative diplomatiche che avevano visto aprire 8 nuove ambasciate, stipulare ben 283 trattati internazionali e incrementare del 66% le esportazioni e del 600% le importazioni con quell’area. Inoltre, i sempre più stretti legami fra la Cina e il colosso sud-americano, sembravano fatti apposta per innervosire il Dipartimento di Stato.
La stessa raffineria di Pasadena, da cui hanno preso il via le indagini, costituisce un elemento essenziale d’un progetto strategico in chiave di opposizione agli Usa: la struttura, con un ottimo accesso al Golfo del Messico, è a mezza strada fra il porto cubano di Mariel, finanziato dal Brasile, e il costruendo canale del Nicaragua (alternativo a quello di Panama) costruito e controllato dalla Cina. Il transito di petrolio venezuelano e brasiliano, raffinato a Pasadena, verso il Pacifico o l’Atlantico, avrebbe enormemente rafforzato il fronte antagonista agli Usa dell’America Latina. Inaccettabile per Washington.
A Lula è succeduta la Rousseff, che ha mantenuto il programma del predecessore ma senza averne la capacità e il carisma; gli Usa hanno tentato in vario modo di “aiutare” le opposizioni, ma l’esito delle elezioni, seppur sempre più risicato, ha sbarrato la strada a un cambio di Governo, di qui la necessità di creare un caso che ne minasse il consenso e distruggesse un asset potente nelle mani del gruppo dirigente brasiliano.
Le indagini sull’acquisto della raffineria di Pasadena, pare siano partite da misteriosi dossier giunti nelle mani della Polizia Federale che, vedi caso, ha stretti rapporti con l’Fbi. Inoltre, da quando è iniziata la vicenda, le agenzie di rating di Wall Street, ancora vedi caso, hanno iniziato a rivedere a ribasso le stime su Petrobras che, al momento, si trova al centro di un’enorme speculazione ribassista sulle parte di azioni in mano ai privati.
Sotto la spinta della comprovata corruzione, gli oppositori di Dilma premono perché Petrobras sia privatizzata, facendo così un colossale favore alle Major del petrolio yankee e ai grandi gruppi bancari che fiutano l’affare, il medesimo fronte che sta sfacciatamente fomentando la piazza e finanziando la campagna stampa contro la Rousseff.
Allo stato dei fatti è difficile ipotizzare l’impeachment della “Presidenta”, ma le pressioni per svendere Petrobras agli speculatori internazionali, invece che fare un doveroso repulisti, potrebbero divenire irresistibili. Nulla di nuovo purtroppo: l’Imperialismo è sempre pronto a sfruttare le debolezze e gli errori (in questo caso clamorosi) per affermarsi.