Bosnia, a 18 anni da Dayton cosa è cambiato?
di Mauro Indelicato
La Bosnia Erzegovina per come oggi la conosciamo, diventa maggiorenne: 18 anni fa infatti, il 21 novembre 1995, si firmavano gli accordi di Dayton, con i quali si poneva fine alla guerra nella ex Jugoslavia, dopo anni di lutti, massacri, pulizie etniche e stermini.
Le immagini di Milosevic, Tudman e Izetbegović che si stringono la mano mentre firmano i trattati, sono diventate l’emblema di quei giorni e motivo di “vanto” per un occidente che ha più pensato a lavarsi la coscienza dopo le (tante) responsabilità avute nei massacri, Sebrenica su tutti, che a riappacificare la regione. Tanto è vero che oggi infatti, le uniche immagini che mostrano nei media tradizionali, sono quelle di una Bosnia in piazza con le bandiere al vento, per festeggiare la qualificazione della propria nazionale di calcio ai prossimi mondiali in Brasile.
Una Bosnia “unita e riappacificata”, così viene descritta da chi ha commentato i caroselli di auto tra le vie di Sarajevo; peccato però, che chi è andato in Bosnia a raccontare i festeggiamenti di piazza, non abbia raccontato altre realtà, ben più significative. Una su tutte, il censimento: proprio così, a 18 anni dalla pace voluta tanto da USA ed alleati, in Bosnia non si riesce a realizzare nemmeno un censimento.
Brogli, dati falsificati, gente timorosa di dichiarare il proprio credo religioso, tutto sembra tranne che un paese in cui la transizione verso la pace sia diventata realtà; da un lato, i musulmani che rivendicano un peso maggiore, dall’altro gli ortodossi che scalpitano per essere maggiormente considerati, poi ancora, serbi che vogliono l’indipendenza e Sarajevo che diventa sempre meno quella “capitale multietnica” tanto celebrata nel corso delle Olimpiadi invernali del 1984 tenute nella principale città bosniaca. La battaglia sul censimento, concerne il fatto che tutti in Bosnia non vogliono sapere quanti sono e chi sono; si ha la paura che, svelati i dati, quelli veri, possano ricominciare le rivendicazioni etniche e si possa ripiombare nella violenza.
La Bosnia è un paese in eterna tensione, il cui equilibrio è regolato più dal ricordo dell’orrore provato in 3 anni di guerra intestina, che dalla voglia di stringere la mano ai propri vicini di casa; anzi, dopo gli accordi di Dayton, si è avuta una maggiore spaccatura tra le comunità che compongono il paese. E non poteva essere altrimenti del resto, visto che la Stato che hanno voluto creare gli autori di Dayton assomiglia più ad un esperimento azzardato di basso profilo geopolitico, che la reale visione della situazione sul territorio.
In pratica, la Bosnia voluta da Dayton, ha più l’aspetto di una matriosca o di una scatola cinese: a capo vi sono le strutture federali a Sarajevo, poi la federazione è composta da due Stati: la Bosnia Erzegovina e la Repubblica Srpska. Si scompone ancora e si scopre poi che, a sua volta, la repubblica federata di Bosnia Erzegovina, è essa stessa una federazione, formata dall’entità bosniaca (musulmana) e da quella croata (cristiana, che va a comporre la Erzegovina); la Srpska invece, è la repubblica autonoma serba, che oggi ha velleità indipendentiste. Insomma, una forma di Stato tutt’altro che unitaria: l’operazione che è stata fatta, non è tesa alla pace, ma al mantenimento di un precario equilibrio, in cui si è data autonomia ad ogni etnia presente nel territorio, favorendo più l’innalzamento di barriere tra una regione ed un’altra, che una reale stretta di mano.
La Bosnia oggi quindi, è uno Stato composto/scomposto, una incompiuta della politica internazionale, dove tutti sono autonomi ma al tempo stesso si ha paura di dichiarare la propria identità in un semplice censimento, dove insomma mentre si gioisce per i successi della nazionale di calcio, si pensa a baciare di nascosto la propria bandiera di appartenenza.