Boldrini, Miss Italia e il mito androgino
«Né nude né mute». Dalla ridente Jesolo una sferzata alla seriosa Laura Boldrini, presidentessa della Camera e sacerdotessa del politicamente corretto. Le 186 prefinaliste del concorso Miss Italia si sono fatte fotografare con indosso una maglietta bianca arrecante questa esplicita scritta.
L’antefatto è il seguente. Nelle settimane scorse la Boldrini si era esibita in un esercizio di pubblico biasimo nei confronti del tradizionale concorso delle miss, considerato un retaggio di un passato maschilista. Pertanto, aveva plaudito alla scelta della Rai di rinunciare, dopo 25 anni, alla diretta dell’evento. «Credo che ci si debba rallegrare di una scelta moderna e civile e spero che le ragazze italiane per farsi apprezzare possano avere altre possibilità che non quella di sfilare con un numero», il commento della Boldrini durante un dibattito alla Camera del Lavoro sulla violenza sulle donne. «Le ragazze italiane hanno altri talenti – aveva proseguito -. Solo il 2% delle donne in televisione esprime un parere, parla. Il resto è muto, spesso svestito, e non ha modo di esprimere un’opinione».
Parole che testimoniano l’insofferenza della loquace Boldrini nei confronti di una tv che veicola un certo modello di donna. Di quella scollata, ammiccante, se non persino provocante. Insomma, un modello che ha pervaso da decenni il tubo catodico. Fa specie, tuttavia, che per attaccarlo si scelga come obiettivo proprio Miss Italia, un concorso che affonda le proprie radici nel tempo e a cui va riconosciuto d’aver mantenuto un livello di stile piuttosto coerente con le proprie origini, nonostante la sistematica volgarizzazione dei prodotti televisivi e, di riflesso, della società. La stessa Patrizia Mirigliani, organizzatrice del concorso, ha ricordato che Miss Italia valorizza la bellezza nazionale «con etica e correttezza da 74 anni».
Una punta d’orgoglio, quella espressa dalla Mirigliani, che però non ha scalfito la compagna Laura. La sua avversione nei confronti di Miss Italia rimane netta. Ciò che le provoca fastidio non è la dequalificazione del corpo a oggetto, né tantomeno la volgarità. Se così fosse, infatti, il suo dito indice si sarebbe atrofizzato da un pezzo, a forza di puntare verso le tante odierne emanazioni scellerate dell’epoca del “vietato vietare” tanto cara ai progressisti come lei.
Del resto, non solo le giovani carine e un po’ succinte, alla Boldrini non vanno bene neanche le mamme amorevoli che servono in tavola i piatti fumanti o le mogli servizievoli che coccolano i mariti con un massaggio alla schiena. Il suo femminismo radicale impone un superamento di questi che sono ritenuti stereotipi di una cultura obsoleta. Di più, in un sussulto di odio verso il diritto naturale, l’esasperazione femminista arriva addirittura a farneticare una modifica della lingua italiana per sostituire i termini mamma e papà con gli asettici “genitore uno” e “genitore due”. E non si tratta della minaccia dell’uomo nero delle favole per bambini, bensì della proposta paventata dalla ministra d’origine congolese Cecile Kyenge.
Lo scenario che si configura nei disegni dei propugnatori di questa ideologia è il superamento totale delle differenze sessuali, la gazzarra di uomini devirilizzati e donne mascolinizzate caldeggiata dalle pubblicità ne è solo il preludio. Ecco l’obiettivo: soppiantare il valore ontologico dell’essere donna e uomo con un ibrido modello androgino. Un androgino parlante, s’intende! Ma non per questo più interessante delle curve di una miss.