Blackwater: sotto processo i “macellai” di Baghdad
Il Dipartimento di Giustizia riapre con nuove accuse il processo contro i Blackwater, facendo rivivere un caso che ha infiammato gli animi a livello internazionale e il sentimento anti-americano in Iraq.
I cinque contractor della Blackwater (una delle più grosse compagnie private americane che in passato hanno lavorato in Iraq e Afghanistan insieme con i militari americani e collaborato anche con la Cia) facevano parte della scorta di un convoglio che il 16 settembre del 2007 stava evacuando funzionari americani dopo un attentato a Baghdad. A un incrocio trafficato gli agenti cominciarono a sparare: senza ragione, per l’accusa, in risposta a un attacco, per la difesa. Furono uccisi 17 civili tra cui donne e bambini dalle guardie pesantemente armate che effettuarono un attacco con mitragliatrici pesanti e granate ferendo anche almeno altre 20 persone.
Contro i cinque contractor scattarono le accuse di omicidio e violazione di armi, si aprì il processo nel 2008 non in Iraq, come richiesto dai funzionari iracheni, ma presso il Tribunale federale di Washington. Tuttavia, nel 2009 , un giudice del tribunale federale di Washington, Ricardo Urbina, dichiarò chiuso il caso, con questa motivazione: “I magistrati e gli investigatori americani che hanno indagato sull’uccisione dei civili a Baghdad nel 2007 da parte di contractor della ditta di sicurezza Blackwater, hanno ripetutamente violato i diritti degli indagati”.
È questa la motivazione con la quale il giudice federale di Washington, Ricardo Urbina, ha assolto il 31 dicembre i cinque contractor imputati di strage. Il giudice, in una motivazione della sentenza di 90 pagine, ha scritto che “nel loro zelo di portare prove, procuratori e investigatori hanno cercato aggressivamente dichiarazioni subito dopo la sparatoria e nell’indagine successiva. Nel fare questo, la squadra di inquirenti del governo ha ripetutamente trascurato gli avvertimenti di esperti e anziani procuratori, assegnati specificamente al caso per consigliare la squadra”.
Il ministro iracheno per i Diritti umani, Wejdane Mikhail, si disse “stupefatta” per la decisione del giudice federale di rigettare le accuse formulate nei confronti delle cinque guardie di sicurezza: “Sono rimasta realmente stupefatta dalla decisione e aspetto dall’ambasciata americana una copia della decisione del giudice”, ha indicato Wejdane Mikhail. “Ciò che è accaduto è molto grave poiché tante persone innocenti sono morte, dei giovani, degli studenti, uccisi da qualcuno che aveva piacere a sparare su gente non armata”, ha aggiunto. Il governo iracheno ha quindi annunciato che perseguirà in giudizio l’agenzia di sicurezza privata americana.
Una corte d’appello federale ha ripristinato il caso nel 2011, dicendo che il giudice Ricardo Urbina ora in pensione aveva interpretato erroneamente la legge.
I pubblici ministeri hanno presentato di nuovo la prova davanti a una giuria, e il giudice distrettuale Royce Lamberth ha dato tempo al Dipartimento di Giustizia fino a Lunedì per decidere cosa fare con il caso .
Sono stati accusati sotto la legge militare giurisdizione extraterritoriale, una legge che permette al governo di perseguire alcuni dipendenti pubblici e imprenditori per i reati commessi all’estero. Gli avvocati della difesa hanno sostenuto che la legge non si applica in questo caso, dal momento che le guardie stavano lavorando come imprenditori del Dipartimento di Stato, non per i militari.
In generale, gli Stati Uniti sono lenti nel condannare le sue truppe o appaltatori di sicurezza statunitensi di crimini di guerra e quando una punizione è imposta per tali crimini, di solito prende la forma di vita in carcere leggero o agli arresti domiciliari. Nel mese di agosto, un soldato americano che ha ucciso 16 civili afgani in una sparatoria dello scorso anno, il sergente Robert Bales, è stato condannato al carcere a vita .
Intanto il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha dichiarato lo scorso giovedì che le truppe americane devono rimanere sotto la giurisdizione di Washington, e sono i tribunali degli Stati Uniti a sottoporre le truppe americane a processo. La Legge è forse uguale per tutti?
di Cristina Amoroso