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Elezioni Spagna: vince Rajoy, flop di Podemos

di Salvo Ardizzone

Domenica la Spagna è tornata alle urne per la seconda volta in sei mesi dopo che, malgrado estenuanti trattative, il risultato delle elezioni del dicembre scorso aveva di fatto impedito la formazione di un Governo.

Sondaggi ed exit-poll hanno fallito ancora: a dispetto delle previsioni della vigilia, dai conteggi delle schede elettorali è uscita nuovamente una situazione di stallo, fotocopia della precedente.

Unico ad avvantaggiarsi, ma fino a un certo punto, è stato il Partito Popular (Pp): conquista 137 seggi a fronte dei 123 precedenti, lontanissimi dalla maggioranza di 176 deputati, ma sufficienti a far gridar vittoria a Mariano Rajoy.

I socialisti del Psoe scendono ancora, raccogliendo 85 seggi, 5 in meno della scorsa tornata già disastrosa, ma scongiurano il sorpasso dato per certo di Unidos Podemos che, insieme ai comunisti di Izquierda Unida, si ferma a 71 contro i 69 di dicembre.

Cala la neodestra di Ciudadanos, che scende a 32 dai 40 che aveva, per il sensibile travaso di voti passati al Pp.

A far saltare le previsioni che mettevano in conto la sconfitta di Rajoy ed il crollo del Psoe, pare sia stato lo sconquasso conseguente al referendum sulla “Brexit” che ha convinto molti elettori a rimanere a casa o a ripiegare sui partiti tradizionali piuttosto che puntare sul nuovo: la paura di un futuro sconosciuto ha prevalso sulla voglia di cambiamento.

Adesso si aprono le consultazioni per la formazione di un Governo; l’incarico verrà affidato a Rajoy, che punta ad una coalizione con Ciudadanos e il Psoe per avere la maggioranza. Ma se l’appoggio di Albert Rivera di Ciudadanos è possibile, al di là di distinguo e ruggini personali fra i due leader, appare arduo un accordo con Pedro Sanchez: troppa la distanza fra i due partiti e soprattutto fra due uomini fatti per non comprendersi.

Il grande sconfitto è Pablo Iglesias: accreditato alla vigilia d’un successo che avrebbe reso Unidos Podemos il secondo partito, esce dalle urne ridimensionato malgrado la fusione con Izquierda Unida.

Nessuno dei due gruppi, Pp e Ciudadanos da un canto e Unidos Podemos con il Psoe dall’altro, quand’anche trovassero un accordo hanno i numeri per formare un Governo. Sulla carta le sinistre potrebbero raggranellare quella manciata di seggi imbarcando le formazioni minoritarie basche e catalane, ma è assai dubbio che il Psoe accetti di fare un Governo con i separatisti contro cui si è schierato da sempre. E comunque, è da vedere se un Iglesias, pur fortemente ridimensionato, accetterebbe di fare il secondo a Pedro Sanchez.

È una nuova situazione di stallo che la Spagna non si può permettere, e sulla quale sono già cominciate le pressioni della Ue (e soprattutto della Germania che ha in mano il debito spagnolo) che, alle prese con la “Brexit”, vuole stabilità a Madrid.

In tutto questo, ancora una volta, i bisogni della gente assillata da una disoccupazione al 20%, da un lavoro che quando c’è è precario, dall’esplosione delle diseguaglianze malgrado un Pil bugiardo che ingrassa i ricchi, rimangono inascoltati.

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