Bahrain, un Paese sotto tortura
Il regime in Bahrain prosegue indisturbato la sua repressione contro ogni forma di opposizione violando i suoi obblighi come Stato facente parte della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
Bahrain in rivolta
Il Bahrain è in preda ad una rivolta dal febbraio 2011, quando centinaia di migliaia di manifestanti confluirono nella capitale Manama chiedendo al regime riforme politiche e democratiche. Alle proteste il regime rispose in maniera brutale, in seguito alla quale, il governo commissionò un rapporto sui diritti umani nel Paese, la Commissione indipendente d’inchiesta del Bahrain.
L’inchiesta formulò una serie di raccomandazioni, che il governo del Bahrain sostiene di aver pienamente attuato. Tuttavia, la situazione dei diritti umani in Bahrain resta abissale. Decine di innocenti sono nel braccio della morte dopo “avere confessato” sotto tortura. La tortura è sistematica all’interno delle stazioni di polizia e prigioni, e la detenzione arbitraria è diventata un fatto comune della vita. Le manifestazioni continuano, immediatamente represse dalle forze militari e della polizia del Bahrain.
Nel giugno 2016, il governo ha improvvisamente intensificato la sua repressione e disciolto il più grande partito politico sciita di opposizione (Al-Wefaq) congelandone i fondi, in un’escalation di misure repressive tra le quali si è registrato anche l’ennesimo arresto dell’attivista Nabil Rajab, vera e propria icona dell’opposizione bahrainita nonché presidente del Centro per i Diritti Umani del Bahrain (Bchr).
Undici anni dopo l’iniziale rivolta pro-democrazia, e l’ammissione del regime che il suo giro di vite non si sarebbe più ripetuto, poco è cambiato in Bahrain.
Detenute torturate nelle carceri
Un’attivista del Bahrain recentemente liberata dal carcere ha rivelato che le donne vengono torturate e violentate nelle carceri del Paese, aggiungendo che il giro di vite del regime di Manama ha spinto le organizzazioni per i diritti umani ad “evitare di coprire tali crimini”.
“Nel torturare le donne si usano tutti i metodi, tra cui sedie elettriche, molestie sessuali, stupri, minacce di stupro, percosse, privazione del mangiare, del bere e del dormire per molto tempo e insulti alla fede dei prigionieri”, ha riferito in un’intervista l’attivista, che ha chiesto l’anonimato per il timore della sua vita.
Ha anche aggiunto che molte donne detenute sono state private del loro diritto di tornare al lavoro, specialmente nel settore pubblico, anche dopo il rilascio. Alcune istituzioni per i diritti umani hanno presentato molti rapporti su torture e stupri contro le donne nelle carceri del Bahrain, ma il governo ha respinto ogni accusa ed ha impedito il loro rilascio.
Chi appoggia il regime canaglia?
Per Syed Ali Wasif, presidente della Società per le riforme internazionali e di ricerca, questo regime è stato da sempre responsabile di atti di corruzione, nepotismo, crimini contro l’umanità, violazioni dei diritti umani e così via, oltre alla discriminazione sulla base della setta e dell’origine etnica.
Il regime canaglia del Bahrain continua a svolgere una brutale repressione contro ogni dissenso, è sostenuto dagli alleati del Golfo Persico, in particolare dall’Arabia Saudita, le cui truppe sono state schierate in Bahrain nel 2011 per collaborare con il governo di Manama nella sua feroce repressione. Il regime gode dell’appoggio di alcuni Stati occidentali, che hanno tutto l’interesse a sostenere regimi dittatoriali nella regione dell’Asia occidentale per proteggere i propri interessi strategici ed energetici. La V Flotta degli Stato Uniti è ospitata nelle acque territoriali del Bahrain e il Regno Unito ha con Manama legami di lunga data.
A testimonianza dell’ambiguità dei rapporti del Regno Unito con il Bahrain è stato presentato un rapporto di Amnesty International, in cui denuncia il governo britannico di essere falso e disonesto nel far finta che il Bahrain sia interessato a significative riforme per i diritti umani, andando verso la “giusta direzione”.
di Cristina Amoroso