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Irlanda del Nord: la Pace arriverà dopo aver reso giustizia alla storia di questo Paese

I Troubles furono una pagina buia che martoriò l’Irlanda del Nord per trent’anni, scaturita dal malessere sociale, economico e politico della minoranza cattolica, discriminata vergognosamente dalla maggioranza protestante.

Fra il ’68 e il ’98 fecero quasi 3.500 morti, per la maggior parte civili che poco o nulla avevano a che fare con le formazioni paramilitari che si fronteggiavano per le strade di Belfast o di Derry. Ma insieme a quelle vittime, e a una marea di macerie e di vite spezzate, si lasciarono dietro ferite che non sono ancora rimarginate nella memoria delle due comunità, che oggi, a sedici anni dalla fine ufficiale delle ostilità, sono tutt’altro che rappacificate.

È un passato tragico che ritorna continuamente e, in questo 2014, almeno due fatti eclatanti hanno riaperto piaghe antiche quanto dolorose: in aprile, Gerry Adams, Presidente del Sinn Fein (per anni braccio politico dell’Ira), è stato arrestato e trattenuto per quattro giorni per aver ordinato l’assassinio di Jean McConville, una vedova con 10 figli sequestrata nel ’72 da un gruppo di guerriglieri cattolici e giustiziata perché ritenuta un’informatrice delle forze di sicurezza; un evento che ha fatto riemergere la tragica vicenda dei disappeared, rapiti e uccisi dall’Ira negli anni ’70 e ’80.

Qualche mese fa, nell’ambito di un processo per l’uccisione a Londra di 11 soldati, è emerso che il Governo Blair, negli anni successivi agli accordi di pace, offrì a circa 200 guerriglieri on the run (alla macchia) la garanzia di non perseguirli in caso d’un loro rientro, sollevando un’ondata d’indignazione in tutto il Regno Unito e costringendo il premier Cameron ad avviare un’inchiesta su quello che era subito apparso come un patto segreto con il Sinn Fein.

Il fatto è che la gestione della memoria di trent’anni di conflitto e di atrocità è oscillata fra la voglia di superare tutto con un’amnistia che cancellasse ogni cosa, evitando di scavare per appurare la verità sui tantissimi casi ancora sospesi, e un’indagine approfondita che mettesse alla luce le responsabilità delle tantissime violenze ed uccisioni (in vasta parte perpetrate dalle forze di sicurezza e dalle formazioni paramilitari protestanti), dando finalmente una risposta ai parenti delle vittime.

La prima via s’è dimostrata politicamente impercorribile, e in ogni caso avrebbe lasciato un insopportabile strascico di risentimenti; le autorità hanno provato ad imboccare la seconda con la costituzione della Historical Enquiries Team (Het), un’unità della polizia incaricata di riaprire tutti i casi non ancora definiti, ma l’obiettività di quest’organismo è stata pesantemente messa in discussione, soprattutto nel caso di abusi commessi dalle forze di sicurezza.

Emblematica è la vicenda del Bloody Sunday; il 30 gennaio del 1972, quando i paracadutisti del 1° Btg, a Derry, aprirono il fuoco indiscriminatamente su una pacifica dimostrazione in difesa dei diritti civili, uccidendo 14 persone e ferendone gravemente 16. Occorsero 38 anni perché la seconda inchiesta condotta da Lord Saville desse finalmente soddisfazione ai parenti delle vittime, appurando la realtà dei fatti a lungo misconosciuti e obbligasse il Governo ed il Paese a chiedere ufficialmente scusa per quegli atti spregevoli. Ma in molti, troppi, altri casi, le responsabilità sono ben lontane dall’essere accertate, in un gioco di rinvii e reticenze.

La difficoltà di superare una visione settaria della società nord irlandese è certo da imputare all’asprezza del confronto che ha contrapposto le due comunità, ma la spaccatura fra la popolazione è stata in qualche modo cristallizzata dall’applicazione del Good Friday Agreement (Gfa), gli accordi di pace del ’98. Il Gfa è stato un capolavoro di equilibrismo e, probabilmente, quello di limitarsi a congelare una contrapposizione è stato l’unico modo di “accordarsi d’essere in disaccordo”, secondo la celebre definizione di Feargal Cochrane, ma così facendo ha reso strutturale la separazione fra le due comunità chiamate ad una sorta di sviluppo separato, un’apartheid nell’ambito della quale ciascuna delle parti si è concentrata sui torti e le atrocità di cui è stata vittima, disinteressandosi, anzi, peggio, guardando con sospetto ogni sforzo per appurare quelli subiti dall’altra.

La tragedia dei trent’anni di conflitto è ben lontana dall’essere elaborata; la mancata rappacificazione determina il permanere d’un diffuso settarismo di fondo pronto a riemergere nei momenti di crisi. A tal proposito, occorre ricordare che gli atti di violenza, seppur notevolmente diminuiti, non sono affatto scomparsi; nel periodo 1998–2011 vi è stata una media di circa 260 incidenti all’anno fra sparatorie e attentati, con la tendenza ad una risalita negli anni successivi; inoltre, malgrado tutti i capi storici della rivolta cattolica non siano più da tempo sulla scena e le organizzazioni di una volta siano sciolte o in disarmo, gruppi paramilitari dell’una e dell’altra parte esercitano ancora un certo controllo su aree di Belfast e Derry.

Tuttavia, in una società fortemente polarizzata e con gran parte dei motivi economici e politici che hanno condotto ai Troubles ancora sul campo, le tensioni indotte da una crisi generale quale quella che affligge da tempo i Paesi europei, finiscono per riflettersi nella società nord irlandese secondo antichi schemi di contrapposizione. Si assiste così a un proliferare di bande e gruppuscoli che scaricano il disagio sociale nell’aderenza a una tradizione di violenza, spesso priva delle antiche motivazioni ideali, ma declinata per pura appartenenza all’una o all’altra comunità.

Non siamo certo alla vigilia di una riedizione dei Troubles, è passato troppo tempo e troppe cose sono cambiate, ma senza una coraggiosa opera di chiarezza su quel periodo; senza una presa di coscienza collettiva che vada alle radici dei motivi sociali e politici che determinarono quella lunga stagione di sangue, non solo difficilmente l’Irlanda del Nord conoscerà una riconciliazione fra le sue comunità e un’autentica pacificazione, ma potrebbe aprire la porta a nuove occasioni di disordini e agitazioni.      

di Salvo Ardizzone

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