Arabia Saudita, un impero vicino al tracollo
Arabia Saudita – L’immagine che il mondo ha dell’Arabia Saudita, grazie alle superficiali rappresentazioni che ne fanno i media, è quella di un ricchissimo colosso energetico che, dall’alto di una smisurata montagna di petrodollari, manovra a piacimento i destini del globo: una sorta di potentissimo regno da “Mille e Una Notte” a cui s’inchinano i potenti del mondo. Ma se si scartano i luoghi comuni e si guardano i fatti, le cose sono da tempo assai diverse; è vero: nell’anno in corso la produzione ha toccato i 10,3 mb/g (milioni di barili al giorno), il più alto livello dal 2005, ed è quella più redditizia in assoluto visto che estrarla costa solo 4/5 dollari al barile, e ciò le ha permesso di mettere il crisi lo shale oil americano assai più costoso, ma qui finiscono le buone notizie. L’Arabia è un petrostato che dipende per almeno il 90% delle entrate dal petrolio; per pareggiare il budget di un bilancio zavorrato da spese incredibili, ha bisogno di un barile a 90/95 $; col greggio che oscilla intorno ai 60 è costretta ad intaccare le riserve finanziarie: nell’ultimo anno ha bruciato oltre 100 Mld.
Il Paese non è uno Stato come gli altri, è una sorta di proprietà della famiglia reale; i sudditi, che non hanno alcun diritto effettivo, vivono grazie alle elargizioni che vengono distribuite a pioggia per limitare malcontenti e dissensi. Ma non a tutti. Per strano che possa apparire in un Paese che si mostra così ricco, la disoccupazione è al 12% e quella giovanile al 29; e non è tutto: intere regioni sono marginalizzate e pesanti discriminazioni vengono applicate alle popolazioni che non seguono il credo wahabita della corte. Sciiti, ismailiti e zaiditi, pur musulmani, sono posti fuori da una società basata sulla diseguaglianza e sui sussidi, senza che nessun diritto venga riconosciuto al Popolo.
Le storiche fratture sociali e tribali, divenute nel tempo anche economiche, non sono mai state sanate, anzi aggravate da regnanti dispostici che storicamente hanno basato il proprio potere assoluto sul denaro e sul patto stretto agli albori del Regno con i suyuh, i leader religiosi.
Questo patto, teso a legittimare agli occhi della popolazione le azioni della casa reale, ora scricchiola paurosamente, da un canto per l’enorme scadimento di una classe di “ulema” (religiosi) prezzolati, dall’altro sotto l’impatto delle difficoltà sempre più grandi, trascurate e disconosciute dai governanti.
Malgrado le leggendarie apparenze, le ricchezze in Arabia Saudita non sono inesauribili e i folli consumi incontrollati stanno conducendo a risultati paradossali: con +6% di fabbisogno energetico all’anno e l’assenza di gas, entro il 2030 Riyadh diverrà un’importatrice di greggio, falcidiando una rendita petrolifera che continua a scendere.
Ma non è neanche questa la minaccia più immediata per una casta di super privilegiati, abituati a vivere in un mondo a parte, totalmente disconnesso dalla realtà. Per essa, ogni cambiamento che limiti l’arbitrario utilizzo delle ricchezze del Paese equivale ad una bestemmia, come pure qualsiasi diritto riconosciuto ad un Popolo equiparato ad uno stuolo di servitori, con vaste fasce di esso escluse dai sussidi perché considerate estranee e nemiche.
Difendere lo status quo è l’unico interesse della Corte; per questo ha identificato due nemici mortali e da anni li combatte spendendo somme enormi e tutta la propria influenza: la Fratellanza Musulmana e l’Iran sciita con la sua Rivoluzione Islamica.
La Fratellanza è vista come una minaccia perché sostiene un islamismo che attinge la sua legittimazione dal basso, attraverso elezioni: una tesi che distruggerebbe le basi dell’assolutismo della casa reale; per questo è stata combattuta in ogni modo e, in Egitto, dove aveva preso il potere, è stata rovesciata e perseguitata dal colpo di stato di Al-Sisi, coperto di dollari dal Golfo.
Per l’Iran il discorso è ben diverso: è la grande potenza regionale dell’area, una Nazione coesa attorno alla sua Rivoluzione, che vede in primo piano un Popolo e i suoi principi; l’esatto contrario dell’Arabia. Riyadh ha fatto di tutto per emarginarlo col pieno appoggio Usa, ma ora la marea sta cambiando: malgrado le guerre suscitate e finanziate con fiumi di denaro in Siria, Iraq e ovunque agiscono le sue bande di assassini prezzolati, i Popoli stanno saldandosi attorno alla Resistenza per respingerli, facendo fallire i progetti sauditi.
I ripetuti insuccessi e la mancanza di risultati malgrado gli immensi sforzi profusi, ha condotto a un colpo di palazzo che ha portato il clan dei Sudayri ad occupare non solo il trono ed a rivoluzionare la linea di successione, ma anche ad impadronirsi dei Ministeri della Difesa e dell’Interno con esponenti della terza generazione, scavalcando molti altri pretendenti della sterminata famiglia reale.
I Sudayri rappresentano la parte più conservatrice e chiusa della Corte, avversari dichiarati di ogni cambiamento ed ossessionati dalla contrapposizione totale all’Iran. Per legittimare la repentina presa del potere, e travolti dallo svolgersi dei fatti, hanno reagito all’ennesima sconfitta dei propri fantocci in Yemen lanciando una campagna terroristica contro quel Paese, ai loro occhi colpevole di volersi emancipare dal loro dominio, e dai personaggi corrotti e dalle bande di terroristi attraverso cui ne esercitavano il controllo.
L’attacco, pianificato con notevole incompetenza e peggio condotto, s’è tradotto in una rabbiosa strage di civili che ha portato la popolazione a compattarsi attorno ad Ansarullah contro gli aggressori sauditi. Adesso Riyadh è in un vicolo cieco: continuare, oltre che essere più costoso in tutti i sensi, si sta dimostrando sempre più controproducente; fallire, o comunque perdere la faccia come sta avvenendo, mina alle fondamenta una struttura scricchiolante e ne dimostra tutta l’impotenza.
Come ha detto lo stesso Obama agli inviati degli Stati del Golfo, le vere minacce a quei Regni sono interne e non esterne, come i loro governanti vorrebbero raccontare: provengono dagli squilibri sociali, economici e politici volutamente ignorati. L’Arabia e i suoi satelliti sono anacronistici mostri d’argilla sul punto di crollare, le cui leadership sono capaci ancora di seminare destabilizzazione, guerre e morte nel tentativo di mantenere il potere, ma destinate ad essere spazzate dalla colossale montagna di errori e crimini commessi. La Storia sa essere paziente, ma ora sta per riscuotere il suo prezzo.
di Salvo Ardizzone