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Arabia Saudita: 2015 anno di sanguinosa repressione

di Carla Cacciavillani

Amnesty International più volte ha denunciato l’Arabia Saudita per non rispettare i diritti umani, ma nel 2015 la situazione è ulteriormente peggiorata. La settimana scorsa, dopo l’esecuzione di 47 persone in un solo giorno, tra cui il leader sciita Al-Nimr ha scatenato tensioni in tutta la regione.
Molto importate è anche la storia di Raif Badawi condannato nel 2014 a dieci anni di carcere e più di mille frustate per aver pubblicato un forum online destinato al dibattito pubblico della religione chiamato “Free Saudi Liberals”, e per aver offeso, secondo il regime saudita, l’Islam. Il 9 gennaio 2015 Badawi fu colpito nella piazza di Gedda da più di cinquanta frustate, le successive sono state rinviate inizialmente per ragioni mediche e poi per cause sconosciute.

Dopo il suo arresto, Amnesty International si è occupata del suo caso con la campagna “Write for Rights”, oltre un milione di persone si sono attivate a sostegno di Badawi. Anche in Italia ci sono stati molti sit-in di fronte l’ambasciata Saudita a Roma, riuscendo a consegnare più di 15mila firme per il rilascio del blogger.

In carcere vi è anche l’avvocato di Raif Badawi, Waleed Abu al-Khair, il primo difensore dei diritti umani condannato ai sensi della legge antiterrorismo del febbraio 2014, al termine di un processo iniquo e nel 2015 decine di altre persone sono state arrestate sulla base della stessa legge, tra questi Abdulkareem al-Khoder e Abdulrahman al-Hamid, fondatori dell’Associazione saudita per i diritti civili e politici, movimento indipendente per i diritti umani sciolto dalle autorità.

Le autorità saudite vietano ogni forma di associazione indipendente per i diritti umani e condannano i loro fondatori a lunghe pene detentive per aver costituito “attività prive di autorizzazioni”, ogni raduno pubblico, comprese anche le manifestazioni pacifiche sono considerate illegali sulla base di un decreto emesso nel 2011 dal ministero dell’interno.
Ali al-Nimr, nipote di Nimr al-Nimr, e gli altri due attivisti sciiti Dawood al-Marhoon e Andullah al-Zaher, arrestati quando avevano meno di 18 anni, restano in attesa dell’esecuzione capitale dopo essere stati condannati al termine di processi gravemente irregolari basatisi su “confessioni” estorte tramite tortura.

In tutto l’anno l’Arabia Saudita ha aumentato il ritmo di esecuzioni con almeno 151 persone messe a morte tra gennaio e novembre del 2015, il più alto numero dal 1995. Quasi la metà delle esecuzioni è avvenuta per reati che, secondo il diritto internazionale, non dovrebbero essere puniti con la morte.

L’Arabia Saudita dal marzo 2015, ha preso la guida di una “coalizione” che sta conducendo una brutale aggressione contro lo Yemen. Gli attacchi hanno ucciso ottomila civili e distrutto strutture mediche, scuole, industrie, centrali elettriche, ponti e strade. Le ricerche di Amnesty International hanno dimostrato che spesso questi attacchi sono stati sproporzionati o indiscriminati e, in alcuni casi, direttamente mirati contro civili od obiettivi civili. Alcune delle armi usate dalla “coalizione” saudita contro obiettivi civili sono state prodotte negli Usa e nel Regno Unito. Anche dall’Italia sono partite forniture di bombe verso l’Arabia Saudita, Amnesty International ha più volte chiesto al governo italiano la sospensione di questi trasferimenti. Il silenzio da parte dell’Occidente nei confronti del governo di Riad è alquanto intollerabile.

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