Anche il Marocco si riavvicina all’Iran
Il Marocco ha nominato il proprio Ambasciatore in Iran a sette anni dall’interruzione delle relazioni diplomatiche con Teheran. Nel 2009 Rabat decise di troncare i rapporti al culmine di una crisi provocata ad arte per futili ragioni, dietro cui, per ammissione di diplomatici marocchini, c’era Riyadh che pagò la rottura con petrolio a prezzi di favore e finanziamenti quando la crisi economica stava squassando il mondo.
Il riavvicinamento fra Marocco e Iran è cominciato nel 2014 e, dopo contatti e telefonate fra ministri, Teheran fece il primo passo nominando a dicembre di quell’anno il proprio Ambasciatore. Solo adesso, a distanza di quasi due anni, Rabat ha nominato il suo, quando ha compreso che il cambiamento degli equilibri fra Mediterraneo e Medio Oriente allargato era irreversibile.
Sulla scorta del mutato clima internazionale, il Marocco sta procedendo attivamente ad una diversificazione dei propri partner: nel 2016, Muhammad VI si è recato in Cina e Russia, siglando numerosi accordi economici e tecnici; dietro questo attivismo c’è la comprensione che il mondo è divenuto ormai multipolare e le attuali tensioni con gli Usa, visti ormai come degli attori globali e non più come l’unica superpotenza mondiale.
Alla radice dei crescenti dissapori con Washington ci sono le divergenze sulla questione del Sahara Occidentale (nervo scoperto per Rabat), e le critiche del Dipartimento di Stato Usa sul mancato rispetto dei diritti umani da parte del Regno magrebino.
Malgrado ufficialmente il Marocco a parole vanti ancora un rapporto “speciale” con gli Stati Uniti, i viaggi di Muhammad VI vanno visti non solo per la loro valenza economica, sempre presente per Rabat, ma soprattutto per la ricerca di nuove sponde politiche (di cui il Regno, meno solido di quanto voglia mostrare, ha un gran bisogno), ora che gli Usa si dimostrano assai meno disponibili e decisivi nel nuovo assetto internazionale che sta emergendo.
Nel nuovo contesto, dopo l’accordo sul nucleare, il Marocco vede l’Iran come la potenza regionale in rapida ascesa. È vero che sulla crisi yemenita Rabat e Teheran si trovano su fronti opposti, la prima fa parte della coalizione a guida saudita mentre la seconda sostiene la Resistenza di Ansarullah, ma entrambi condividono la lotta al Terrorismo (il Marocco è alle prese con la galassia terrorista nel Sahel e teme il ritorno dei tanti foreign fighters che son partiti per Siria ed Iraq) e Teheran non riconosce la Repubblica dei Saharawi e non appoggia il Polisario, musica per Rabat.
Per l’Iran il ruolo del Marocco è interessante per due ragioni: da un canto infligge un nuovo colpo al già distrutto muro di Stati che Riyadh le aveva innalzato attorno con fiumi di petrodollari; dall’altro, e più interessante, Rabat può rappresentare per Teheran la porta d’ingresso economica e geopolitica all’Africa Occidentale. Resta l’incognita della reazione saudita a quella che agli occhi di Riyadh è una defezione, ma, al momento, l’Arabia Saudita è alle prese con problemi assai più gravi che le scelte interessate di un Marocco intenzionato a cogliere i frutti politici ed economici del riavvicinamento con l’Iran.
Al di là dell’episodio in sé, tutto sommato di peso relativo, la scelta di Rabat, impensabile fino a qualche tempo fa, è l’ennesimo segno di un irreversibile quanto radicale cambiamento degli equilibri internazionali, che stanno archiviando l’egemonia globale statunitense e regionale saudita, e segnano l’ascesa di nuovi attori: Mosca e Pechino nel mondo e Teheran nella Regione e oltre.
di Salvo Ardizzone