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Ambasciatore palestinese denuncia la passività dell’Onu di fronte alle continue violazioni israeliane

di Manuela Comito

Giovedì 17 settembre Riyad Mansour, ambasciatore palestinese alle Nazioni Unite, ha criticato i 15 Paesi membri del Consiglio di Sicurezza per la loro passività di fronte ai crimini commessi da Israele contro i fedeli palestinesi alla Moschea di al-Aqsa, malgrado le violazioni israeliane sulla Spianata delle Moschee siano palesi e ampiamente documentate. L’inviato palestinese ha avvertito che i Paesi musulmani e le nazioni all’Onu non lasceranno soli i palestinesi a difendere la Moschea. Nelle stesse ore, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha espresso all’unanimità “profonda preoccupazione” per le azioni provocatorie contro il sacro sito islamico, invitando alla moderazione e al rispetto delle norme che disciplinano il composto di al-Aqsa.

A parte gli ipocriti inviti alla moderazione, i soliti appelli alla “tregua” da entrambe le parti e la sollecitazione a porre fine agli scontri, il Consiglio si è ben guardato dall’usare le parole che tutti si aspettavano e dal puntare il dito contro il vero responsabile degli scontri e delle violenze: il regime di Tel Aviv. La brutale aggressione contro i fedeli palestinesi ha avuto inizio domenica 13 settembre, in occasione del capodanno ebraico del Rosh haShanà, ad opera dei militari dell’esercito israeliano che hanno occupato massicciamente la zona, impedendo l’ingresso ai fedeli palestinesi che si recavano per la preghiera ed è continuata nei giorni successivi in un crescendo ininterrotto di violenze.

Va ricordato che dal 26 agosto le autorità israeliane hanno imposto rigide restrizioni all’ingresso al composto di al-Aqsa e Netanyahu, durante una riunione d’emergenza tenutasi mercoledì 17 settembre, ha deciso di “ampliare” i poteri dell’esercito. La violenza dei soldati israeliani contro i fedeli palestinesi ha attirato il biasimo e la condanna dell’opinione pubblica internazionale. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha condannato queste aggressioni: “I luoghi santi islamici e cristiani a Gerusalemme Est rappresentano una linea rossa e non resteremo impassibili di fronte a questi attacchi”. A queste dichiarazioni hanno fatto seguito quelle del primo ministro palestinese Rami al-Hamdallah, che ha avvertito la Comunità Internazionale del rischio che le continue violenze ad opera dei militari e dei coloni israeliani col beneplacito di Tel Aviv portino all’esplosione di un conflitto in tutta la regione.

E Izzat al-Rishq, leader di Hamas, ha definito “crimine di guerra” l’assalto ai fedeli palestinesi sulla Spianata delle Moschee. Anche Nickolay Mladenov, coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medioriente, ha avuto parole di condanna per gli avvenimenti di questi giorni e ha dichiarato in videoconferenza da Gerusalemme al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che: “Il Medioriente è stretto in una morsa di terrore ed estremismo; queste provocazioni rischiano di innescare un conflitto che va ben oltre le mura di Gerusalemme”.

Gli assalti e i soprusi contro i fedeli palestinesi non sono eventi occasionali né episodici, ma sono frutto di un preciso piano di giudaizzazione di Gerusalemme Est, messo in atto dalle autorità di Tel Aviv per mezzo delle violenze dei coloni e della repressione dell’esercito. La Spianata delle Moschee, nella Città Vecchia di Al-Quds occupata da Israele dal 1967, è uno dei punti più critici, dove hanno sede importanti luoghi sacri delle tre religioni monoteiste. La Moschea di Al-Aqsa è il terzo luogo sacro dell’Islam.

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