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La favola dell’Indoeuropeo e il pregiudizio eurocentrico

La favola dell’Indoeuropeo e il pregiudizio eurocentrico – Dai tempi di René Guénon sono molti ad affermare che la civiltà occidentale stia attraversando una crisi profonda con i segni evidenti di una completa decadenza, la cui responsabilità viene attribuita ad una matrice eurocentrica che di fatto ha ostacolato il dialogo tra civiltà diverse, perché ha impedito di capire gli altri, concependoli solo come oggetti da dominare e sfruttare oppure, nel migliore dei casi, da riscattare e redimere, ma ai quali ha negato e nega uno status di fondamentale uguaglianza.

Il concetto di cultura eurocentrica, difeso e fatto valere per secoli, pur essendo ormai inadeguato nell’attuale condizione dell’umanità, è ancora oggi duro a morire. Siamo in grado noi europei di mettere sotto accusa la cultura di cui siamo figli, evidenziandone i numerosi limiti? Operazione certo difficile perché chiama in causa le basi stesse della personalità europea, del “Nur in Okzident…”, “Solo in Occidente” di Max Weber e impone una revisione critica crudele del nostro passato, compreso in prima istanza il passato imperialista e coloniale,  come afferma il sociologo Franco Ferrarotti.

Questioni teoretiche a parte, se i pochi hanno guidato la nostra storia e hanno scritto i libri dalla parte dei vincitori e non dei vinti, tesi alla realizzazione dei loro piani più che alla ricerca della verità, è arrivato il momento per i più di riprendersi la propria memoria e le proprie tradizioni e servirsi della conoscenza come chiave per smascherare pregiudizi, falsificazioni, saperi infondati e accademici.

In questo percorso, obbligatorio per ciascuno di noi se vogliamo sopravvivere grazie ad una visione multiculturale, come insieme di pratiche di vita e di valori condivisi e convissuti, è fondamentale riconoscere innanzitutto l’abbagliante evidenza di una omogeneità culturale, religiosa e filosofica, tra Oriente e Occidente. Tale omogeneità è stata sempre combattuta dalla cultura accademica responsabile di molte falsificazioni, come quella relativa alla nascita della civiltà greca, vista come prodotto unico dell’occidente. Ma qualcuno ha avuto il coraggio di affermare chiaramente che “Senza la Grecia d’Asia, terra di feconde esperienze e contatti caldei, la Grecia d’Europa non sarebbe mai stata la Grecia”.

Nella sua opera è disegnato l’ambito di una grande, antica unità culturale dei popoli del nostro continente, saldati in antica simbiosi con i popoli del Mediterraneo o con quelli del vicino Oriente. Sulla scorta delle antiche parole, ancora vive, è segnato il cammino della formazione culturale, “un vincolo di fraternità culturale lega da cinquemila anni l’Europa all’antica Mesopotamia, l’attuale Iraq, dove fiorirono le inarrivabili civiltà di Sumer, di Akkad, di Babilonia”. L’elemento di congiunzione tra Oriente e Occidente è Sargon: il fondatore della dinastia di Akkad, nel III millennio a. C. che giunse a sciacquare la spada nel Mediterraneo.

L’Autore, Giovanni Semerano, scomparso a 94 anni nel 2005, nei lunghi anni di studio con le sue opere ha operato una vera e propria Rivoluzione copernicana nel campo della linguistica, dimostrando innanzitutto l’infondatezza dell’Indoeuropeo, dopo 200 anni di indiscusso dominio, da quando il grande studioso tedesco Franz Bopp (Magonza 1791) costruì la sua grande grammatica storica della lingua Indoeuropea basata sul Sanscrito, lingua imposta da una popolazione nomade primitiva, guerriera, patriarcale, venuta dal nord che si sovrappose in una o più fasi, alle popolazioni preindoeuropee, soggiogandole e dominandole come élite guerriera. Quante conseguenze ebbe  la favola dell’indoeuropeo nella storia dell’evoluzione del pensiero politico occidentale, avallando dottrine aggressive e razziste, che hanno segnato la storia del mondo fra Ottocento e Novecento: dalla legittimazione del colonialismo imperialista delle potenze europee, fino alle politiche antisemite del nazionalsocialismo.

Quando la teoria dell’indoeuropeo si impose non si conosceva ancora il Sumero (i Sumeri hanno inventato la scrittura cuneiforme) né si conosceva l’akkadico (assiro-babilonese) base di tutte le lingue semitiche, per cui veniva lasciata fuori una gran fetta di civiltà, la civiltà mediterranea del vicino Oriente. Giovanni Semerano, rassicurato e confortato dalla scoperta di Ebla che provava l’arrivo della cultura mesopotamica sul mediterraneo, iniziando a scoprire etimologie di nomi fondamentali come Europa (Erebu , terra del tramonto), Asia (Asu, levarsi del Sole), Italia (Atalija, oscurarsi dal Sole), Roma (Ramu, gettare le fondamenta) e mille altri termini inspiegabili con l’indoeuropeo è arrivato finalmente al porto della verità.

Nonostante ciò è stato a lungo misconosciuto, tanto che nel convegno internazionale sugli etruschi del 1985 gli fu concesso un intervento di solo tre minuti. “Ci hanno sempre detto che la lingua degli etruschi è incomprensibile. Non è vero. Erano sbagliati i codici di lettura”, osserva Umberto Galimberti. “Tutto torna se si lascia la matrice indoeuropea e ci si rifà alla radice semitica”. Lavorando su questa ipotesi Giovanni Semerano ha ricostruito il complesso quadro storico ignorato dagli etruscologi del passato: l’etrusco è una “koiné” mediterranea nata dall’incontro tra lingue di ceppo semitico. Per decenni lo studioso di Ostuni ha cercato il senso nascosto delle parole. E lo ha trovato nelle migliaia di tavolette graffiate da piccoli cunei che parlano di una civiltà di molto antecedente al IX secolo dei sanscriti. Sappiamo così che quasi 4000 anni fa, nel 2300 a.C, la lingua dei cunei, l’accadico-sumero, aveva permeato il Mediterraneo e il Mar Nero, le pianure della Russia, le distese dell’Europa centrale, le vallate verso l’India.

Paziente e ostinato, Giovanni Semerano ha percorso inesplorati itinerari etimologici guidandoci nelle profondità di una cultura, che nella rappresentazione della morte e dell’incontro tra luce e tenebra, ci ha lasciato le più affascinanti testimonianze. “Sono come le stelle, le vedi brillare e magari sono morte da milioni di anni”.

Così le sue opere “Origini della cultura Europea”, “L’infinito: un equivoco millenario. Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco” brillano come stelle perché esulano dalla cultura eurocentrica e “vogliono essere una chiara irradiazione di fraternità che dall’antico universo dei segni scritti o comunque tramandati, trae, con attenta auscultazione i segreti del mondo che fu alla base dei nostri avviamenti civili”.

di Cristina Amoroso

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