Medio OrientePrimo Piano

All’Apec si è celebrato il trionfo della Cina

di Salvo Ardizzone

In questo novembre nell’area del Pacifico si sono registrati due avvenimenti di caratura mondiale a cui in Europa s’è data relativa rilevanza: dal 5 all’11 a Pechino il summit dell’Apec (Asia Pacific economic cooperation) e a seguire, a Brisbane, in Australia, il vertice del G20 che s’è concluso il 16. Dei due, malgrado il battage dei media, quello di gran lunga più significativo è stato il primo: sul quel palcoscenico, la Cina di Xi Jinping ha imposto il suo ruolo di attore primario globale dinanzi a Obama e Putin.

Tre sono i progetti strategici che intende perseguire e attraverso cui ridisegnare un proprio ordine dall’area del Pacifico alle soglie dell’Europa: la nuova Via della Seta, la Ftaap (la risposta cinese alla Tpp americana, con cui Washington vuole contenere Pechino e mantenere il controllo del Pacifico) e il “Sogno dell’Asia–Pacifico”, con cui intende legare a sé gli altri Paesi.

Il primo è un colossale progetto d’infrastrutture (ferrovie, strade, oleodotti e gasdotti oltre che impianti portuali) destinato a collegare la Cina all’Europa per via di terra, attraverso Asia Centrale e Medio Oriente, riducendo drasticamente la sua dipendenza dalle rotte marittime, controllate dagli Usa, e incrementando scambi commerciali, investimenti e influenza nei Paesi toccati da questa rotta. 

Con il secondo, la Ftaap (Free trade area of the Asia Pacific), intende ribaltare la strategia di Obama: con il Ttp l’Amministrazione Usa vuole isolare economicamente la Cina, unendo gli altri Paesi del Pacifico in un accordo che prevede standard sulla tutela dei lavoratori, dei brevetti e delle proprietà intellettuali in genere e dell’ambiente fatti apposta per imbarazzare Pechino, costringendola secondo le intenzioni alla scelta di accettare quello che non può o rimaner fuori. Il fatto è che imbarazzano anche buona parte delle economie emergenti dell’area, assai vicine alla Cina come regole (quando ci sono) e tutele (assai scarse); e poi, pensare di isolare il Dragone con i suoi immensi capitali è ormai ridicolo.

Con la Ftaap, Xi rilancia un’area di libero scambio che coinvolgerebbe metà del commercio e dell’economia mondiale; ha addirittura “concesso” che essa potrebbe ricomprendere anche la Ttp, ben sapendo che tra le regole assai blande e il fiume di denaro di Pechino e gli standard e la borsa stretta di Washington, per la maggior parte dei Paesi dell’area la scelta sarebbe immediata. E s’è visto bene quando, a margine del summit, Obama ha tentato di portare avanti i negoziati con gli 11 potenziali Paesi membri della Ttp.

Il terzo progetto, che s’aggancia al secondo, è “Il Sogno dell’Asia-Pacifico”: dinanzi a 1500 imprenditori fra i più grandi del mondo, Xi ha rivendicato il ruolo della Cina nell’economia globale in affanno, rimarcando i 1.250 Mld di $ d’investimenti all’estero programmati per i prossimi dieci anni; dovranno servire ad uno sviluppo comune con i Paesi dell’area, che si “armonizzeranno” con il Sistema economico cinese. 

Un Obama azzoppato dalla recente sconfitta nelle elezioni di midterm, ha dovuto trattare da pari a pari con un Xi che mostrava la potenza della Cina al mondo: da lì sono venuti diversi accordi, quello sulla riduzione delle emissioni di gas serra (Cina e Usa producono insieme il 45% del totale globale) è il più importante, e diversi moniti, l’invito a non provare a strumentalizzare le proteste di Hong Kong il più netto, insieme a quello a non intromettersi nelle contese nel Mar Cinese con gli altri Stati rivieraschi. E il Presidente americano ha abbozzato, sfumando molto le dichiarazioni su quei temi, che s’era prefisso di rilasciare a beneficio dei media di tutto il mondo.

Con Putin, invece, ci sono stati nuovi accordi di cooperazione energetica, fra cui un protocollo per l’apertura di un secondo gasdotto dopo quello concordato nel maggio scorso: la crisi Ucraina, con le assurde sanzioni volute e manovrate da Washington; la necessità per Mosca di trovare alla svelta un nuovo mercato energetico da sostituire alla Ue (verso cui indirizza fin’ora la stragrande maggioranza delle sue esportazioni); la convenienza della Cina di saziare la sua sete con il petrolio e il gas della Siberia, hanno reso possibile un matrimonio d’interessi fra i due Paesi. È chiaro a entrambi che non si può parlare d’alleanza, hanno linee di sviluppo e interessi strategici di fondo troppo contrastanti, ma per adesso al Cremlino conviene uscire alla svelta dall’angolo in cui la vorrebbero inchiodare gli Usa, anche a costo di sottostare alle condizioni economiche di Pechino, e a quest’ultima fa terribilmente comodo approvvigionarsi d’energia a costi contenuti, assicurarsi per un certo periodo la neutralità di Mosca nel suo “cortile di casa”, nell’Asia Centrale scenario della nuova Via della Seta e infine usare Putin per contrastare l’ormai velleitario “Pivot to Asia” di Obama.

Il summit è stato un trionfo per la Cina, che è emersa ed è stata riconosciuta come potenza globale, imponendo trattative paritarie con Washington e impostando i suoi tre progetti strategici da cui uscirà un suo ordine, che nelle aspettative dovrebbe vedere espandere la sua aria d’influenza dal Mar Giallo alle soglie dell’Europa. 

Un altro imperialismo globale s’è affacciato ufficialmente al mondo: non getta bombe né per adesso destabilizza Paesi, lasciandosi dietro montagne di cadaveri e di macerie, come è abituato a fare il vecchio Zio Sam: preferisce far pesare i miliardi accumulati sullo sfruttamento d’un Popolo immenso. Per la prima volta, da molto tempo, Washington ha dovuto mettere in conto, anche per il futuro, di dover spartire il potere con un altro attore in rapida crescita.          

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