Al-Sisi cancella i Fratelli Musulmani
Il presidente egiziano Al-Sisi ha portato a compimento il suo progetto di eliminare una qualsiasi forma di opposizione; l’esito del processo contro il sit-in in favore di Morsi tenutosi nel 2013 ha avuto la sua conclusione con pene detentive per 600 persone di cui 75 condanne a morte; il tutto a cinque anni dal massacro dei manifestati in piazza Rabaa Adawiya, al Cairo.
Il tribunale farsa ha condannato a morte 75 persone tra cui alcuni leader del Fratelli Musulmani; vi sono inoltre 600 persone condannate a dure pene detentive che avevano preso parte al sit-in del 2013 contro il colpo di Stato realizzato dalle forze armate egiziane con a capo Al-Sisi, che pochi mesi prima aveva rovesciato il presidente Morsi.
Mohammed Badie, capo della Fratellanza musulmana è stato condannato all’ergastolo e tra i condannati vi è anche il reporter Abu Zeid, conosciuto dai più come Shawkan, che dovrebbe essere rilasciato a giorni in quanto la condanna a cinque anni di carcere corrisponde al periodo di detenzione preventiva che ha già trascorso nelle carceri egiziane. Molte associazioni umanitarie si sono mosse in favore del fotoreporter, ma il regime è stato irremovibile in quanto Shawkan è stato accusato di far parte di un gruppo terroristico e di essere in possesso di armi da fuoco, accuse che sono sempre state rigettate da Zeid che si è sempre dichiarato innocente.
Il processo farsa che si è tenuto in Egitto non ha punito i colpevoli presunti ma le vittime certe; il regime militare di Al-Sisi si è difeso sostenendo che nei giorni del 2013 in cui i manifestanti erano in piazza si è corso un serio rischio per la tenuta dello Stato; inizialmente le fonti vicine al regime avevano parlato di 40 poliziotti morti, ma è stata una cifra che è durata poco in quanto le stesse fonti hanno abbassato di molto il numero. Alla fine, le vittime certe degli scontri sono otto, ma in ogni caso nessun membro delle forze dell’ordine è stato inquisito e condannato per il massacro dei civili riuniti pacificamente in piazza.
il tribunale egiziano e la magistratura assoggettata al regime si è limitata a promulgare quanto desiderato dal dittatore Al-Sisi, ergo gli esiti del processo sono stati scontati e sin dal primo momento nessuno degli indagati si è fatto illusioni; a testimoniare il totale asservimento della magistratura egiziana al regime militare vi è anche la vicenda non ancora chiarita del ricercatore italiano Giulio Regeni che a due anni dal ritrovamento del cadavere non ha avuto ancora giustizia. Qui bisogna parlare dell’atteggiamento del governo italiano che in questi giorni si è recato al Cairo nella persona del vicepremier Luigi Di Maio sbandierando i “buoni affari” dell’Italia in Egitto. Il regime egiziano si è limitato a ripetere le solite promesse e rassicurazioni circa l’andamento delle indagini.
Se il vicepremier italiano è rimasto in un colpevole silenzio, la stessa cosa non si può dire della famiglia Regeni, l’unica che da due anni a questa parte si batte strenuamente per ottenere una qualche forma di verità visto che anche il governo precedente si è dimostrato aleatorio sulla questione, rimandando l’ambasciatore italiano in Egitto dopo che era stato richiamato in Italia.
Dal 2014, Al-Sisi e tutta la sua accolita hanno compiuto le peggiori nefandezze giustificandole come necessarie per la lotta al terrorismo, ma tutto ciò altro non è che una maschera per nascondere la vera faccia del “governo” che è quella di voler azzittire qualunque voce contraria; la mannaia del regime si è abbattuta sui Fratelli Musulmani ma anche sui laici, sulla stampa e sui blogger. Con Al-Sisi, l’Egitto sprofonda ancora di più nel buco nero della dittatura e del disinteresse dei diritti umani che vengono violati quotidianamente nel silenzio della comunità internazionale.
di Sebastiano Lo Monaco