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Cile e il resto del mondo

Nel mese di Ottobre fino ai primi di Novembre il mondo ha assistito a un periodo di agitazione in Cile. La causa scatenante della protesta giovanile e in più in generale di coloro che non approvano le politiche del governo di Sebastian Pinera è stato l’aumento del costo del biglietto della metropolitana di 30 pesos, ossia in Euro, tre centesimi e poco più.

La storia ci ricorda che il Paese sud-americano ha subito una dittatura terribile e sanguinaria dal golpe di Pinochet del 1973 fino approssimativamente al 1990 (il plebiscito contro il generale ci fu nel 1988 e le successive libere elezioni nel 1989). Pinochet si dimise da presidente, pur rimanendo a lungo presente nella vita politica cilena. L’attuale Costituzione è stata approvata l’11 Settembre del 1980 da parte del regime militare ma negli anni è stata sottoposta, grazie al sistema repubblicano, a diverse riforme per renderla più idonea alla Democrazia Presidenziale, attualmente in vigore.

L’economia invece ci dice che il Cile è considerato uno dei Paesi più solidi del continente sud-americano: durante i governi della “Concertaciòn” (la Concertación de Partidos por la Democracia è stata una coalizione di partiti di centro e di sinistra che ha governato il Cile dall’11 Marzo 1990 all’11 Marzo 2010) l’economia ultra liberista del periodo del regime è stata profondamente modificata attraverso molte riforme progressiste e socialiste sia in campo previdenziale, sanitario ed educazionale adottando la strategia dell’economia sociale di mercato. Questa dinamica ha portato al cosiddetto miracolo cileno.

Cile, un Paese aperto

Il Cile dopo anni di isolamento è diventato un Paese aperto al mondo con un’economia espansiva: molti trattati di libero commercio sono stati stipulati con gli Stati Uniti, con l’Unione Europea, con la Corea del Sud e con la Cina. Altri trattati sono stati fatti coi Paesi affacciati sul Pacifico e la Nazione partecipa a diverse organizzazioni economiche come l’Apec e la Comunità Andina.

Importa principalmente dagli Usa e dalla Cina ed esporta per la maggiore in Cina e negli Stati Uniti. È singolare come due Paesi in conflitto economico nel globo tra guerre sui dazi, 5G, ed espansione in Africa siano così protagonisti anche in Sud-America, ed è curioso notare come via via che gli Usa si ritirano dal Medioriente (restando solo nelle zone più strategiche), i Paesi latino-americani con le economie più vivaci ribollano tra proteste e quant’altro. Donald Trump ha dimostrato palesemente più volte di fare affari, non politica, e laddove è costretto a fare politica è perché deve fare business.

In fin dei conti Bashar al-Assad in un’intervista dell’1 Novembre trasmessa dalla televisione siriana, ha dichiarato che Trump è il miglior presidente che gli Usa abbiano mai avuto in quanto è trasparente sulle intenzioni americane di mettere le mani sul petrolio arabo. Egli ha infatti dichiarato: “Non è un buon presidente per via delle sue politiche, ma perché è il più trasparente. Vari presidenti americani hanno commesso errori politici e crimini, e hanno pure ricevuto un premio Nobel per questo. Trump dice vogliamo il petrolio, vogliamo sbarazzarci di una determinata persona, vogliamo fornire un servizio in cambio di denaro e questa è la verità. Questa è la politica degli Stati Uniti. Cosa c’è di meglio di un nemico trasparente?”.

I settori dell’agricoltura e dell’allevamento sono in crescita costante grazie all’esportazione in Europa di prodotti cileni, ma anche la pesca ha fatto un balzo in avanti superando addirittura la Norvegia sul salmone. Infine, ricordiamo che l’uranio e il petrolio sono tra le maggiori risorse minerarie del paese. È chiaro che il Cile non è un Paese in depressione, quindi ci sarebbe forse da dire: se protestano i cileni, perché noi italiani no? Probabilmente per capire cosa sta accadendo in Cile, è necessario aprire lo sguardo su tutte le nazioni dell’America Latina, ma anche sull’economia globale, in quanto non si tratta solo del Cile che manifesta insofferenze, ma parliamo anche della Bolivia, del Brasile, del Venezuela e in parte dell’Argentina. Tutti Paesi con problemi strutturali.

La situazione italiana

Nello specifico lo Stato che interessa in questo capitolo, è una democrazia giovane e senza dubbio la Costituzione approvata nel 1980, sebbene modificata ampiamente, può non essere in linea con una società, con generazioni e con un’economia mondiale in vorticoso cambiamento. Per fare un paragone, si potrebbe aprire un piccolo inciso sull’Articolo 1 della nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro”. Non è più vero. in Italia questo non è più vero, e i diritti dei lavoratori non sono più quelli conquistati con le lotte degli anni ‘60/’70.

Dovremmo protestare per questo? Si, dovremmo farlo molto energicamente, come esprimono il loro dissenso in Cile, ma non lo si fa poiché la nostra economia è legata alla globalità ora e le tutele dei lavoratori devono essere internazionali per contrastare un’economia ultra liberista, dove la finanza e i grandi gruppi possono e possono comprare tutto.

Come la diminuzione dei salari, come i meccanismi economici, come il netto abbassamento del potere contrattuale del lavoratore vengono stabiliti in concerti sovranazionali, così anche la strategia e le lotte per difendere i diritti devono internazionalizzarsi. Ma se i sindacati non fanno più il loro mestiere all’interno dei singoli Paesi, figuriamoci a livello globale, sarebbe soltanto una somma di giochi a ribasso.

È davvero così sconvolgente il fatto che una giovane democrazia che ha subito le violenze atroci della dittatura di Pinochet, che i figli dei “desaparecidos” protestino contro il caro vita? Contro l’innalzamento dei prezzi delle case? Contro una sanità, un’istruzione e un sistema pensionistico costosi e più privati che pubblici? Che si scaglino con fragore contro un inefficiente sistema pubblico? Che lancino pietre contro i simboli della corruzione? Ma è palese che anche da noi si sta andando nella stessa direzione delle privatizzazioni: la scuola pubblica, la sanità, il sistema pensionistico sono allo sbando totale. Erano efficienti si, in passato.

Inoltre è anche fisiologico che se un’economia cresce i prezzi delle case aumentano: Infatti, in Italia c’è stato (per fortuna e giustamente) un crollo dei prezzi del mattone perché nel 2008 l’Occidente ha affrontato a tutti gli effetti una guerra. Ma una Democrazia non è in bilico se le persone manifestano, i cambiamenti vanno conquistati.

Dopo il fascismo e in seguito all’istituzione della Repubblica, l’Italia ha avuto le sue lotte sindacali, le sue radicalizzazione inaccettabili, ma grazie a ciò il sistema lavoro ha guadagnato rispetto. La società così com’era strutturata negli anni ’50 ormai non andava più bene, le energie dovevano esplodere. Lo stesso sta accadendo in Cile. Quante revisioni costituzionali ha avuto la nostra carta più alta? Moltissime.

Infine, si desidera forse paragonare il grado d’illegalità, inefficienza e corruzione che c’è nei meccanismi della nostra società e tra la nostra classe dirigente con quello cileno? Si parla di questo Paese del Sud-America con clamore affermando che c’è un’atroce disparità nella distribuzione della ricchezza, dove tanti hanno poco e pochi hanno moltissimo. Ma perché nel nostro Paese, in Europa, nel mondo no? Anche il Cile è figlio di questo sistema economico.

La posizione di Papa Francesco

Soltanto Papa Francesco ha sempre parole dure contro la globalizzazione, un sistema questo che crea delle disuguaglianze gravissime su tutti i livelli, dove non si mira più ad elevare i diritti dei lavoratori più deboli a quelli più forti, ma il contrario; dove la finanza può tutto in nome del libero mercato, dove la qualità dei prodotti agricoli di un Paese non può più essere apprezzata dagli abitanti di quel territorio in virtù di accordi commerciali fatti chissà dove e chissà quando e dove i grandi gruppi di capitali ricattano le politiche nazionali.

Il problema è che un solo popolo non vincerà più contro i soprusi se non si internazionalizza e non si fonde come fanno i grandi gruppi finanziari. Il potere della finanza e del business sono ovunque, non hanno barriere perché il mercato è globale.

I cileni stanno facendo i conti con un’economia in crescita e con le disparità causate da questa stessa che si fortifica all’interno di un sistema economico mondiale e generale fondato sulla disuguaglianza e sullo sfruttamento. Probabilmente il fatto che sia una democrazia giovane dà alla società civile lo slancio per addrizzare il tiro. Di qui le proteste.

Allora, il quesito giusto, quello che non sposta l’attenzione dell’opinione pubblica, quello che non fa gossip, quello che dev’essere annunciato, analizzato e posto in essere con lo stesso clamore forse dovrebbe essere: perché in Cile si e “qui” no?

di Ilaria Parpaglioni

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