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Afghanistan, un Paese occupato, devastato e abbandonato al suo destino

di Salvo Ardizzone

Lunedì 22 i talebani hanno condotto un altro dei loro spettacolari attentati, attaccando il Parlamento di Kabul mentre iniziava il dibattito per la ratifica della nomina del nuovo Ministro della Difesa. L’attacco, portato a segno all’interno della zona di massima sicurezza di Darul Aman, ha visto l’impiego di un’autobomba guidata da un kamikaze, seguita da cariche esplosive, raffiche di armi automatiche e un razzo lanciato sul tetto del Parlamento.

Fallita l’irruzione, mentre i deputati si davano alla fuga, s’è accesa una violenta sparatoria fra gli attentatori e le forze di sicurezza afghane, conclusasi, secondo il Ministero dell’Interno, con la morte dei sette attentatori.

La capacità dei talebani di condurre attacchi organizzati anche nella zona più presidiata dell’intero Afghanistan ripropone con forza i problemi della sicurezza nel Paese, dell’inadeguatezza delle forze afghane nel fronteggiarli e del destino della Nazione dopo il ritiro della Nato.

Il Dipartimento della Difesa Usa s’era mostrato ottimista nello stimare la situazione dopo le elezioni presidenziali, svoltesi senza troppi problemi malgrado le minacce dei terroristi, ma l’offensiva talebana di fine primavera ha messo in luce tutta l’inadeguatezza delle Ansf (Afghan National Security Forces). Fra queste spicca la cronica deficienza delle Forze Aeree Afghane (Aaf), mai messe in grado di operare seriamente; ciò ha fatto si che la Nato, già nell’autunno, dichiarasse di continuare a offrire il proprio supporto aereo fino alla fine del 2016; termine che adesso si pensa di rinviare al 2018.

Inoltre, e questo è il punto più critico, è l’attrito a cui sono sottoposte le Ansf a preoccupare: nel 2014, fra diserzioni e perdite, gli effettivi sono diminuiti di ben oltre 40mila unità (una cifra circa quadrupla rispetto al 2013) all’interno della quale si conta il numero record di 5.400 Kia (Killed In Action). È l’effetto del disimpegno della Nato, che spinge in prima fila gli uomini delle Ansf, senza gli equipaggiamenti e l’addestramento necessari. La consapevolezza d’essere mandati spesso allo sbaraglio incide pesantemente sul morale dei reparti, traducendosi in diserzioni sempre più numerose.

Nato e Usa (che poi nei fatti sono la stessa cosa) hanno deciso di mantenere sul posto circa 10mila uomini suddivisi fra l’Operazione Risolute Support, che ha lo scopo ufficiale di dare assistenza militare e addestramento a forze male armate e peggio comandate, e l’Operazione Freedom Sentinel, sulla carta destinata a continuare la precedente Enduring Freedom, con il ruolo di anti terrorismo (Counter Terrorism – Ct)

Abbiamo detto sulla carta e ufficialmente perché le cose stanno diversamente: a parte che non è dato sapere come sarà suddiviso fra le due Operazioni il contingente Usa, né quali reparti vi saranno assegnati, è tutta l’impostazione delle missioni ad essere ambigua, come pure lo è la vera natura delle missioni aeree che Nato e Usa continueranno a svolgere in terra afghana con la scusa di fornire supporto.

Già dal dicembre scorso, rimuovendo un precedente veto, le Special Forces statunitensi hanno ripreso le operazioni notturne con profilo “combat”; un’autorizzazione firmata dal nuovo presidente Ashraf Ghani che, nei fatti, permette al Jsoc (Joint Special Operation Command) e agli Special Opration Group della Cia di continuare a svolgere le operazioni “black” (coperte) in tutto l’Af-Pak (acronimo per indicare il pantano afghano e quello pakistano, strettamente connessi). È questa la motivazione alla base del permanere delle forze Usa nell’area: seguitare a mantenere truppe e basi in una regione cruciale, impiegandole per gli scopi più inconfessabili.

A distanza di 14 anni, e dopo una guerra lunghissima e sanguinosa che continua a martoriare quel disgraziato Paese, la situazione è solo peggiorata riducendo l’Afghanistan ad una distesa di macerie, con trafficanti e signori della guerra a dettar legge, la corruzione sempre più diffusa e i terroristi che di anno in anno guadagnano terreno grazie all’ottusa violenza dei “liberatori” Usa.

Washington non ha, né tantomeno ha mai avuto l’idea di aiutarlo quel Paese; l’enorme fiume di denaro che vi è stato speso è tornato indietro a impinguare le società ammanigliate col Pentagono; ciò che è rimasto sul posto, poco, è finito essenzialmente nelle tasche di funzionari e politici corrotti, signorotti locali e trafficanti di droga.

Adesso, dopo aver distrutto una Nazione, agli Stati Uniti importa assai poco che la caricatura di Stato che hanno tenuto in vita a forza rischi di collassare; lo puntelleranno finché ne avranno interesse, poi spariranno lasciandosi dietro l’ennesimo disastro sanguinoso incuranti di ciò che accadrà dopo.

Per loro sarà un’altra “missione compiuta”.

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