Afghanistan: disimpegno o riposizionamento strategico?
La notizia, iniziata a circolare lunedì, è diventata oggetto di un ampio dibattito, sia per le implicazioni politiche dell’annuncio, sia per quelle strategiche. Fonti della Difesa hanno riferito che “il ministro Trenta ha dato disposizioni al Comando Operativo di Vertice Interforze (Coi) di valutare l’avvio di una pianificazione per il ritiro del contingente italiano in Afghanistan”, aggiungendo che “l’orizzonte temporale potrebbe essere quello di 12 mesi”. Una posizione abbastanza chiara quella del Ministero della Difesa guidato da Elisabetta Trenta.
Dopo l’annuncio di lunedì, si è aperto uno scontro non solo tra i partiti, ma anche all’interno dello stesso governo. Il ministero degli Affari Esteri si è detto meravigliato della presa di posizione della Difesa ricordando di non essere stato minimamente informato delle voci sul piano di ritiro dall’Afghanistan. Questo indica che fra i due ministeri principali che si occupano del dossier-Kabul c’è pochissima comunicazione e per di più anche contraddittoria.
Fonti della Lega hanno precisato che in Afghanistan “facciamo quel che serve per riportare pace e stabilità. Al momento nessuna decisione è stata presa ma solo una valutazione da parte del ministro per competenza”, mentre non poteva mancare la voce del frontman del M5S, Alessandro Di Battista: “Il ritiro delle truppe dell’Afghanistan (di tutto il contingente entro un anno) è una splendida notizia. Ho lottato tanto per questo obiettivo e con me ha lottato tutto il Movimento. In Afghanistan abbiamo perso uomini valorosi nonché sprecato più di cinque miliardi di euro dei cittadini italiani”. E in serata fonti di Palazzo Chigi hanno a loro volta puntualizzato che la richiesta di valutare una pianificazione del ritiro del contingente italiano avviata dal ministro Trenta è stata “condivisa” con la Presidenza del Consiglio.
Nessun caso politico dunque sul disimpegno italiano in Afghanistan. Adesso l’Italia ha altre priorità strategiche nazionali, sulle Missioni all’estero varate dal nuovo governo, che sposta l’asse dal Medio Oriente e Asia Centrale (Iraq e Afghanistan) per spostarlo verso il Mediterraneo e l’Africa. Come la Casa Bianca ha fatto balenare la fine di una lunga costosa guerra in Afghanistan, il Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta non ha certo perso tempo in indugi, in perfetta linea con il Governo statunitense. L’Afghanistan emerge forse come caso esemplare della nuova politica estera.
L’inviato degli Stati Uniti per l’Afghanistan, Zalmay Khalilzad, martedì ha annunciato che è stata raggiunta una “bozza” d’accordo durante i colloqui di pace con i talebani per mettere fine a 17 anni di conflitto nel Paese. “Abbiamo un progetto di accordo che deve essere concretizzato prima che diventi un accordo”, ha dichiarato al New York Times da Kabul, dove è arrivato domenica per riferire alle autorità afgane sei giorni di colloqui con rappresentanti dei talebani in Qatar.
Intanto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, giudica prematuro discutere il ritiro delle truppe dall’Afghanistan. “Ora occorre sostenere gli sforzi per trovare una soluzione pacifica”. Gli americani ammettono di aver davanti almeno due pesanti incognite. La prima è su quali garanzie si basi l’impegno talebano a un cessate il fuoco durante il ritiro dei loro soldati. La seconda è la disponibilità di Kabul a un compromesso con degli insorti che, conclusa la ritirata statunitense, potrebbero replicare quanto fecero vietcong e vietnamiti dopo l’addio americano a Saigon.
In questo momento, l’impegno internazionale in Afghanistan sembra essere messo in discussione e le chiavi di lettura sono molte. È certo che si tratti di un clamoroso fallimento della strategia dell’Occidente. La guerra è iniziata nel 2011 con l’intenzione di sconfiggere i talebani e porre un governo stabile e in grado di controllare il Paese. A quasi 20 anni dall’inizio della guerra, l’unica certezza è che i talebani controllano larga parte del territorio afghano.
di Cristina Amoroso