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Gaza continua a morire

Si muore una sola volta nella vita. Ma non a Gaza. Gaza muore, continuamente. Sono passati tre anni dall’ultima ferita, l’ennesima, sferrata da Israele al cuore della Striscia. Da quel luglio del 2014 la situazione umanitaria è precipitata ulteriormente, e Gaza è condannata, dichiarata dall’Onu invivibile entro il 2020.

Gaza è ormai una prigione a cielo aperto, totalmente isolata dal mondo, dove gli abitanti, qualora potessero, non saprebbero neppure dove scappare. Una terra dove i bambini crescono a latte e sangue, i giovani camminano a braccetto con l’incertezza del futuro, una terra dove, se finisci in ospedale non hai neppure la certezza vi siano le medicine per curarti.

Il conflitto del 2014 ha distrutto quasi tutta la rete idrica e fognaria della Striscia. Oggi a Gaza il 95 percento dell’acqua disponibile non è potabile. La quasi totalità degli abitanti attinge acqua da una rete pubblica fatiscente o, quando va meglio, da sistemi di pompaggio collegati a pozzi che nessuno controlla, da cui deriva acqua per lo più inquinata.

Una situazione di grave carenza idrica che colpisce soprattutto donne e bambini, costretti a lavarsi, bere e cucinare con acqua contaminata. Facile immaginarne le pericolose conseguenze sanitarie; forte disidratazione, presenza di vermi intestinali, diarrea, vomito, ed una condizione igienica in continuo peggioramento.

Una potenziale soluzione al problema dell’approvvigionamento idrico è la desalinizzazione dell’acqua marina, ma senza corrente gli impianti preposti non possono funzionare. E a Gaza non c’è luce. Alla crisi idrica si accompagna quella energetica.

Pochi mesi fa Israele ha ridotto del 40 per cento la già scarsa fornitura di elettricità nella Striscia. Ad oggi i palestinesi hanno a disposizione non più di 4 ore di corrente al giorno.

Quattro misere ore che si traducono con: ospedali messi in ginocchio, aziende a rischio chiusura, impossibilità per i pescatori di conservare la merce e per gli allevatori di irrigare i campi. In pratica, la vita  è costretta a fermarsi, a mettersi in pausa.

Una situazione catastrofica, che è il risultato di 12 anni di blocco imposto deliberatamente da Israele. Un embargo che ha messo in stallo l’intero processo di ricostruzione. Basti pensare che solo il 16 per cento dei materiali destinati al ripristino delle infrastrutture idriche ha superato le restrizioni imposte dalle autorità israeliane.

A Gaza i medicinali non sono mai sufficienti, reparto oncologico incluso; c’è continua carenza di plasma, cibo e addirittura del latte in polvere per i neonati. Qui uomini, donne e bambini ormai dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere.

Il tasso di disoccupazione giovanile supera il 60 per cento, una persona su quattro vive in estrema povertà e moltissime sono le famiglie ancora senza una abitazione. La guerra a Gaza non è finita. E’ un massacro silenzioso, una guerra senza bombe. Ma a Gaza la guerra non è finita.

di Mafalda Insigne

 

 

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