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Ahmad Shah Massoud: eroe della Resistenza afghana

Sono trascorsi 21 anni dall’assassinio di Ahmad Shah Massoud, il “Leone del Panjshir”, simbolo della Resistenza in Afghanistan. Per le strade di Kabul il suo viso è uno spettacolo familiare. Il suo volto barbuto è ovunque, dai parabrezza delle auto ai panifici. Massoud combatté contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan negli anni ’80. Con l’emergere di un nuovo nemico, i Talebani, Massoud stabilì una base militare nel Panjshir e combatté i terroristi fino alla sua morte.

Il 9 settembre 2001, Massoud fu assassinato durante un’intervista con due giornalisti che si rivelarono essere membri di al-Qaeda sotto mentite spoglie. I presunti giornalisti avevano nascosto esplosivo nella telecamera. A 18 anni dal suo assassinio, gli afgani ricordano Massoud come un eroe nazionale e un simbolo di Resistenza contro ogni imperialismo, il cui retaggio sopravviverà.

Afghanistan dopo Ahmad Shah Massoud

A un anno dalla fine dell’intervento Usa, in Afghanistan la situazione è sempre più disastrosa, il Paese fuori controllo e sempre nuovi attori regionali risucchiati in una crisi senza fine. L’aggressione militare dell’Occidente ha causato solo sofferenze indicibili per la popolazione.

Attualmente, i Talebani, riammessi al potere dagli Usa, sono schiacciati fra insorgenza Isis, trafficanti e signori della guerra che controllano le province, e dai maneggi delle potenze che si scontrano in Afghanistan per l’egemonia nel quadrante.

Una situazione totalmente destabilizzata, un vuoto che inevitabilmente attira i vicini; Pakistan, Cina, India e Russia vengono coinvolti in un inestricabile gioco di alleanze e contrapposizioni. Un gioco che diviene sempre più complesso, sempre meno rappresentativo e più marionetta dei giochi altrui.

Per spiegare la trama degli interessi che si scontrano in Afghanistan servirebbero libri e tanta voglia d’inseguire un argomento ostico, ma è necessario accennare, sia pure assai sommariamente, agli scopi degli attori principali che si muovono nel Paese dopo (diremmo a causa) l’intervento Usa.

di Yahya Sorbello

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