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Iraq: continua l’avanzata delle milizie sciite contro l’isis, ma in politica regna il caos

In Iraq, mentre la situazione sul campo evolve rapidamente e l’Isis incassa una sconfitta dietro l’altra, la situazione politica diviene sempre più confusa, facendo emergere le divisioni aspre di un tutti contro tutti; un apparente paradosso che si spiega con gli appetiti di chi si vuole garantire posizioni privilegiate per un dopo sempre più vicino, quando il Daesh sarà definitivamente liquidato. L’Esercito, con il sostegno decisivo delle Forze di Mobilitazione Popolare (per intenderci le Milizie sciite), è all’offensiva e sta liberando sempre più vaste aree del Paese dai terroristi; dopo la recente presa di Rutbah, un grosso centro strategico nell’Ovest della Provincia dell’Anbar, è stato appena raggiunto il valico di Trabil, fra Iraq e Giordania, sigillando quella parte del confine per interrompere il continuo afflusso all’Isis di aiuti e di mercenari prezzolati dal Golfo. Adesso, Esercito e Forze di Mobilitazione intendono sferrare l’attacco decisivo al valico di Al-Qaim con la Siria, spezzando in due i territori controllati dal “califfato”.

Resta indietro il nodo di Falluja, vicino a Baghdad, da cui partono le missioni di morte con cui il Daesh vuole vendicare le sue sconfitte con gli attentati nella capitale; se quel bubbone non è già caduto, è perché gli abitanti sono scudi umani, ma non passerà molto come a Ramadi che è già stata liberata mesi fa.

Tuttavia, i successi crescenti stanno suscitando l’avidità di chi vuole approfittare della situazione prima che sia il campo a decidere tutto: a nord, i curdi, che stavano per essere spazzati se non fossero intervenuti l’Iran e gli sciiti iracheni, e non avessero ricevuto anche l’aiuto di milizie arabo-sunnite, adesso che la minaccia sta scemando pretendono d’estendere il loro dominio su terre storicamente arabe, attirati dal petrolio che c’è sotto, adottando una strisciante pulizia etnica. Una situazione che sta generando tensioni crescenti con chi contro il Daesh s’è battuto sul serio, e con il Governo centrale di Baghdad, che verranno regolate quando la partita militare sarà conclusa.

Ma è nella capitale che si sta giocando la partita politica più complessa; con l’avvicinarsi della fine del “califfato”, è iniziata la lotta per garantirsi le migliori posizioni per il dopo: i corrotti gruppi di potere coagulatisi al tempo dell’occupazione Usa (e con essi ancora in stretto contatto), quelli saldatisi attorno all’ex premier Al Maliki, e chi, dopo essere stato a lungo alla finestra durante la recente crisi sanguinosa ora reclama una posizione privilegiata (come Al Sadr), tutti fanno pressione sul Governo di Al Abadi per condizionarlo; dall’altra parte, chi la battaglia contro il terrorismo l’ha combattuta tutta, con l’aiuto di chi quel sostegno era disposto a darlo (l’Iran), ora non intende certo farsi da parte.

A complicare ulteriormente il quadro ci sono, oltre alle citate pretese dei curdi, le manovre saudite, che stanno ricoprendo di petrodollari le tribù arabe dell’Anbar per garantirsi degli alleati dopo che l’Isis verrà debellato.

È una fase confusa di tensione destinata a durare fino a quando il campo non avrà dato il suo responso definitivo (e s’avvia a darlo); dopo, chi ha fatto la sua parte combattendo (sul serio, non a parole) per il suo Paese contro i figli assassini dell’imperialismo farà la differenza. Sarà allora che la confusione avrà fine e i disegni di chi sobilla il disordine e tresca per mantenere privilegi e potere od ottenerne verrà messo da parte.

di Salvo Ardizzone

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