Accordo libico, ennesima operazione di facciata
Giovedì scorso, sull’onda mediatica della recente Conferenza di Roma sulla Libia, a Skhirat, in Marocco, è stata sottoscritta l’intesa fra le fazioni, ma a testimoniare quanto sia una fragile operazione di facciata che lascia intatti i nodi, basta ricordare che sotto il documento c’erano 42 firme, e diverse mancavano.
Adesso quel pezzo di carta si tradurrà in un’ennesima risoluzione dell’Onu che dovrebbe dare legittimità al contorto mosaico istituzionale che vi è tracciato. Sarà una seconda risoluzione, e su richiesta libica, che definirà l’eventuale supporto militare straniero.
Il nocciolo dell’inestricabile groviglio è sempre lo stesso: nel 2011 le bombe franco-inglesi (e gli aiuti di Qatar e Turchia) hanno fatto collassare lo Stato, ma dopo nessuno ha aiutato seriamente la Libia che è rapidamente scivolata in un caos sanguinoso. E in quel marasma una miriade di milizie e gruppi criminali hanno assunto il controllo del territorio e degli infiniti traffici illeciti che lo attraversano, e ora non hanno alcuna intenzione di cedere il potere (e i soldi) che gli deriva dalle armi.
Il fatto è che la Libia non è un qualunque Stato fallito come altri in Africa: ha enormi risorse petrolifere e di gas che fanno gola a tanti, inglesi e francesi in testa, che non sopportano il radicamento dell’Eni su quel territorio (malgrado la situazione, è l’unica società ad essere rimasta a lavorare, ed ha recentemente aumentato l’estrazione di gas). Inoltre, con la sua posizione sul Mediterraneo, è la piattaforma ideale per dare sbocco ai traffici criminali che attraversano il Sahel, quel territorio considerato cosa propria dalla Francia.
Anche l’Egitto ha da sempre guardato con il massimo interesse le risorse della Cirenaica, e per questo ha messo sotto tutela il cosiddetto Governo di Tobruk tramite il sedicente generale Haftar, uomo per tutte le stagioni, a capo dello scalcinato esercito libico.
In questo quadro di totale disfacimento, secondo un copione replicato anche troppe volte, era ovvio spuntasse l’Isis. In fuga da Siria ed Iraq, e in parte anche dal nord della Nigeria, sono sempre più numerosi i seguaci del “califfo” che si trasferiscono in Libia per impiantarvi i propri traffici lucrosi. E al contempo giustificare con la loro presenza l’ennesimo intervento occidentale.
Come dichiarato esplicitamente dal premier Valls, la Francia è pronta a bombardare l’Isis a Sirte (dove i tagliagole hanno stretto un’alleanza di convenienza con la tribù Qadafta, quella di Gheddafi che ha così la sua rivalsa) ed a Sabratah. Cameron s’è subito allineato per i manifesti interessi petroliferi, e da metà novembre Rafale francesi sorvolano i potenziali obiettivi.
L’accelerazione impressa con la Conferenza di Roma ed ora con l’accordo in Marocco, fortissimamente caldeggiato dall’Italia, mira a bruciare sul tempo l’iniziativa franco-inglese. Ma firmata quell’improbabile intesa, resta da vedere come sarà implementata.
I libici hanno già dichiarato che non vogliono militari stranieri che non siano istruttori per le proprie milizie, e più d’ogni altra cosa chiedono armi per regolare da sé i propri conti.
Premesso che special forces franco-inglesi e non solo nel sud della Libia ci sono da tempo, e il Times ha già riferito che Londra ha pronti mille uomini da inviare, il punto è che molti gruppi armati saranno comunque fuori dagli accordi, e che qualunque supporto Onu si tradurrà nell’aiutare una parte contro le altre in una guerriglia lunga e sanguinosa.
Se a questo s’aggiunge che la guida della missione internazionale dovrebbe andare all’Italia, si comprende la portata dello spaventoso pasticcio in cui Roma sta per impelagarsi adesso che la situazione è ingestibile, dopo essere rimasta a guardare quattro anni fa, quando ancora si poteva intervenire.
Gli ingredienti di un gigantesco disastro ci sono tutti: interessi divergenti fra i partecipanti alla missione (e di certo l’Italia non ha il peso per gestirli); mancanza di reali interlocutori e di un quadro statale che semplicemente non esiste al di là dell’ipocrita finzione dell’Onu; popolazione frammentata e ostile in uno scenario di tutti contro tutti; ingerenze esterne massicce e che continueranno in barba a ogni accordo.
Ancora una volta complimenti a chi ha confezionato questo capolavoro.