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A Sigonella i droni killer degli Stati Uniti d’America

Prima gli aerei-spia Global Hawk e una forza di pronto intervento del Corpo dei marines, adesso pure i velivoli senza pilota MQ-1 Predator per bombardare Maghreb, Sahel e Corno d’Africa. Da qualche mese nella grande stazione aeronavale di Sigonella vengono ospitati in gran segreto una flotta dei famigerati droni che US Air Force e CIA utilizzano nei maggiori scacchieri di guerra internazionali: Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, regione dei Grandi Laghi, Mali, Niger.

A rivelare la presenza in Sicilia di non meno di sei Predator Usa da ricognizione e attacco è l’Osservatorio di Politica Internazionale, un progetto di collaborazione tra il CeSI (Centro Studi Internazionali), il Senato della Repubblica, la Camera dei Deputati e il Ministero degli Affari Esteri. “La presenza dei droni temporaneamente basati a Sigonella ha fondamentalmente lo scopo di permettere alle autorità americane il dispiegamento di questi determinati dispositivi qualora si presentassero delle situazioni di crisi nell’area nordafricana e del Sahel”, esordisce il rapporto sui velivoli senza pilota Usa in Sicilia, pubblicato nei giorni scorsi dall’Osservatorio.
“Ai tumulti della Primavera Araba che hanno portato alla caduta dei regimi di Tunisia, Egitto e Libia ha fatto seguito un deterioramento della situazione di sicurezza culminato nel sanguinoso attacco al consolato di Bengasi e nella recente crisi in Mali, dove nel gennaio scorso la Francia ha lanciato l’Operazione Serval. In considerazione di tale situazione, la Difesa Italiana ha concesso un’autorizzazione temporanea allo schieramento di ulteriori assetti americani a Sigonella”.

Nello specifico, il Pentagono ha trasferito in Sicilia “alcuni ulteriori velivoli P-3 Orion AIP da pattugliamento marittimo e velivoli cargo C-130 Hercules con il relativo personale di supporto logistico”, a cui si aggiungono i droni realizzati dalla General Atomics Aeronautical Systems Inc. che in alcune loro versioni “possono eventualmente essere armati”. Lungo appena 8,22 metri, l’MQ-1 Predator è un velivolo di medie altitudini e lunga durata: può raggiungere infatti i 9.000 metri sul livello del mare e volare ininterrottamente per più di 40 ore. Il drone è dotato di sensori ottici e sistemi di video-sorveglianza che possono individuare e fotografare qualsiasi target anche in condizioni di intensa nuvolosità. Ma si tratta soprattutto di un’arma letale da first strike, in grado d’individuare, inseguire ed eliminare gli obiettivi “nemici” grazie ai due missili aria-terra a guida laser AGM-114 “Helfire” di cui è armato. Le sofisticatissime tecnologie a bordo non gli consentono tuttavia di distinguere i “combattenti” nemici dalla popolazione inerme con la conseguenza che oggi il Predator è uno dei sistemi di guerra più attenzionati dalle organizzazioni internazionali umanitarie e dalle stesse Nazioni unite che hanno avviato una commissione d’inchiesta sul suo spregiudicato utilizzo in Africa e Medio oriente.

L’Osservatorio di Politica Internazionale prova comunque a tranquillizzare l’opinione pubblica tenuta all’oscuro dell’installazione a Sigonella dei droni killer. “Concedendo le autorizzazioni, le autorità italiane hanno fissato precisi limiti e vincoli alle missioni di queste specifiche piattaforme”, si legge nel report. “Ogni operazione che abbia origine dal territorio italiano dovrà essere condotta come stabilito dagli accordi bilaterali in vigore e nei termini approvati nelle comunicazioni 135/11/4^ Sez. del 15 settembre 2012 e 135/10063 del 17 gennaio 2013”. Nello specifico potrebbero essere condotte solo le sortite di volo volte all’“evacuazione di personale civile, e più in generale non combattente, da zone di guerra e operazioni di recupero di ostaggi” e quelle di “supporto” al governo del Mali “secondo quanto previsto nella Risoluzione n. 2085 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Sempre per l’Osservatorio, le forze armate Usa dovrebbero informare le autorità italiane prima dell’effettuazione di qualsiasi attività, ma non si spiega tuttavia in che modo potrebbe essere impedito a Washington di utilizzare Sigonella per operazioni contrarie agli interessi strategici nazionali.

“Anche relativamente all’aspetto di regolazione dell’attività dei voli e del supporto logistico, gli assetti in dispiegamento temporaneo sono soggetti a precisi vincoli”, aggiunge il rapporto sui nuovi droni di Sigonella. “L’esecuzione dei voli deve essere preventivamente coordinata con l’Ente di controllo del traffico aereo e l’Ufficio operazioni della base ospitante; in particolare, l’attività che interessa gli spazi aerei di Sigonella deve essere gestita con le medesime modalità vigenti per i reparti stanziali e preventivamente coordinata con il rispettivo Comando di Stormo per quanto concerne numero di sortite, orari di svolgimento e procedure di attuazione”. Ciononostante è lecito credere che le evoluzioni dei Predator produrranno ulteriori limitazioni al traffico aereo civile nei cieli siciliani.

A Catania-Fontanarossa, lo scalo passeggeri ad una manciata di km da Sigonella, piloti e controllori di volo conoscono bene i limiti e i pericoli di dover operare fianco a fianco dei velivoli militari a pilotaggio remoto. “Attualmente le unità statunitensi basate a Sigonella comprendono distaccamenti relativi agli aeromobili di tipo RQ-4B Global Hawk dell’US Air Force, il cui rischiaramento permanente è stato autorizzato nel settembre 2010”, spiega l’Osservatorio di Politica Internazionale. “Il Global Hawk è un velivolo senza pilota da osservazione e sorveglianza, destinato ad operare ad altissima quota e con lunga autonomia, prodotto dalla statunitense Northrop Grumman e in dotazione attualmente all’Aeronautica militare americana in 37 esemplari. A Sigonella si stima che attualmente siano presenti 3 di questi velivoli”.

I velivoli sono controllati da terra attraverso due stazioni trasportabili, una denominata “MCE” per la gestione dei voli e l’interpretazione delle immagini raccolte e l’altra (LRE) per le fasi di decollo e atterraggio. Entrambi i moduli sono altamente mobili e dispiegabili anche in luoghi geografici separati rispetto a quello di operazione del Global Hawk grazie ai collegamenti su base satellitare.

Questi velivoli possono rimanere in volo per periodi di tempo superiori alle 24 ore e a migliaia di km dalla loro base operativa. “Ciò consente una maggiore capacità di raccolta informativa e osservazione in contesti di scarsa sicurezza”, aggiunge l’Osservatorio. “Così, tale tipologia di velivolo potrebbe favorire anche un incremento della consapevolezza della situazione in alcuni scenari, si pensi alle aree desertiche del Sahel, dove le criticità, a causa di rapimenti, attacchi jihadisti e scontri etnici e tribali, sono in incremento”.

Nel rapporto si ricorda inoltre come Sigonella sia stata prescelta quale sede operativa dei 5 velivoli Global Hawk che saranno acquisiti a breve dalla Nato nell’ambito del nuovo programma “Alliance Ground Surveillance” (AGS). “Le Commissioni difesa della Camera e del Senato hanno espresso parere favorevole relativamente …al contributo italiano all’acquisizione, da parte dell’Alleanza Atlantica, di un sistema ad alta tecnologia basato su una flotta di 8 velivoli a pilotaggio remoto Global Hawk e di un segmento terrestre di guida e controllo nelle sedute del 24 e 16 giugno 2009. In seguito, l’acquisto di 8 Global Hawk (con un contributo finanziario italiano di 177,23 milioni di euro pari al 12,26% dei costi dell’intero programma determinati in 1.335 milioni di euro), è stato ridotto a soli 5 esemplari”.

Con l’AGS, Sigonella si trasformerà in un vero e proprio centro di eccellenza Nato per la sorveglianza terrestre, con apposite infrastrutture dedite alla manutenzione e al supporto logistico dei droni, all’analisi e diffusione dei dati da loro raccolti e all’addestramento del personale dei Paesi dell’Alleanza destinati alla gestione del sistema (circa 800 unità). “Attualmente si prevede che il primo Global Hawk arrivi a Sigonella nel 2014 e che sia raggiunto dagli altri 4 velivoli entro il 2017, anno di completa operatività del sistema AGS”, spiega l’Osservatorio. “Sono comprese anche due stazioni mobili di supporto operativo alla missione (TGGS), sei stazioni mobili per il processamento dei dati (MGGS) e un centro operativo di supporto alla missione fisso (MOS) da installare presso la base di Sigonella”.

Secondo il Ministero della difesa, la iperdronizzazione di Sigonella non comporterà comunque problemi all’ambiente.

“A livello di emissioni elettromagnetiche, i Global Hawk e i Predator americani operano sulle stesse bande di frequenza utilizzate dai droni italiani con potenze analoghe, omologate, certificate e autorizzate dall’autorità nazionale”, riportano acriticamente i ricercatori dell’Osservatorio. “Per quanto riguarda le emissioni acustiche, questi sistemi non differiscono dagli omologhi velivoli pilotati. In particolare l’MQ-1 Predator, che è propulso da un motore Rotax 912 UL a pistoni, genera un rumore paragonabile a quello di un addestratore dell’Aeronautica militare SIAI SF-260. Le emissioni acustiche di un RQ-4B Global Hawk, invece, sono paragonabili a quelle di un business jet della classe del Cessna Citation X che monta lo stesso motore in versione civile”.

Sempre secondo il Ministero della difesa le emissioni chimiche dei droni saranno “riconducibili esclusivamente agli scarichi dei motori”. Come dire dunque che i droni installati in Sicilia spiano e uccidono a impatto ambientale zero. O quasi.
di Antonio Mazzeo
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