A Parigi nell’ennesima farsa della coalizione anti-Isis
Martedì s’è riunita a Parigi la cosiddetta coalizione montata nel settembre scorso fra tanti proclami con l’intento dichiarato (a parole) di sconfiggere l’Isis; erano presenti 24 dei 60 Paesi che avevano aderito, e la tragedia di tutta un’area ha preso i connotati di una farsa.
Il premier iracheno al-Abadi, già prima della partenza aveva ribattuto alle accuse mosse all’Esercito di Baghdad di essersi squagliato dinanzi ai tagliagole del “califfo”, rinfacciando ai sedicenti alleati l’inconsistenza dei raid aerei e le forniture di armi concesse col contagocce. Durante i lavori s’è sentito di tutto: dalle rivendicazioni dei curdi (irritati per non essere stati invitati) che malgrado stessero per essere travolti millantavano successi inesistenti o raggiunti solo grazie ad altri, alle risibili recriminazioni degli alti gradi dell’Esercito iracheno, corrotti quanto inetti, e via discorrendo in un crescendo di ipocrisia. Solo di chi ha combattuto e combatte con successo sul campo s’è preferito non parlare: in Iraq le milizie sciite, non a caso tenute lontane da Ramadi fino a che non s’è profilato un nuovo disastro, e in Siria Hezbollah e l’Esercito siriano, con al-Hassad nomi impronunciabili in ossequio a chi di quei terroristi è il vero sponsor.
Tornando all’alleanza, al momento, la possente armata aerea che s’era costituita s’è praticamente dissolta, con la maggioranza dei Paesi arabi che hanno preferito sganciare le bombe sui civili yemeniti piuttosto che sui terroristi Daesch, e la Francia, che dopo la vicenda di Charlie Hebdo aveva mostrato i muscoli inviando la portaerei Charles de Gaulle nel Golfo, in ossequio alle direttive di Riyadh (di cui è divenuta la più accesa sostenitrice grazie a contratti miliardari) ha praticamente fermato gli aerei.
A mostrare le coccarde nei cieli sono rimasti gli Usa e l’Inghilterra, la sua scudiera di sempre, che continuano sporadici attacchi per non perdere del tutto la faccia, sostenendo con quei pochi raid il 90% delle azioni complessive. Nel frattempo, mentre si fa finta di combattere le bande del “califfo” e di aiutare l’Iraq, attraverso i confini turchi passano continuamente armi e uomini destinati ai terroristi, viene smerciato il loro petrolio e gas di contrabbando, e un fiume di reperti archeologici predati dai siti iracheni e siriani finisce sui mercati internazionali.
È l’ennesimo dimostrazione di come l’Isis sia troppo prezioso per essere combattuto seriamente dai Paesi della sedicente coalizione; al massimo potranno cercare di limitare la sua eccessiva indipendenza per renderlo più docile ai desideri di Riyadh. Per il Golfo, per gli israeliani e per i potentissimi gruppi di potere Usa loro alleati, come per i loro fantocci, quei terroristi sono uno strumento insostituibile per continuare a destabilizzare Siria ed Iraq e giustificare la presenza Usa nell’area.
Al termine del summit solo tante stucchevoli parole e la dichiarazione di Laurent Fabius, il Ministro degli esteri francese, più un augurio che altro: “Sarà una lotta di lungo termine, bisogna saperlo”. Ma sul terreno, malgrado gli ostacoli posti e le sorde resistenze perché possano farlo, altri stanno combattendo con successo o s’accingono a farlo.