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A Panama si consacra il fallimento della politica estera americana

di Salvo Ardizzone

All’inaugurazione del Vertice delle Americhe a Panama, prima dell’inizio dei lavori, Obama e Raul Castro si sono incontrati brevemente stringendosi la mano sotto gli occhi di una folla di leader.

Poco dopo Obama ha fatto il suo breve discorso, dichiarando che “la Guerra Fredda è finita da tempo” e che non è interessato “a battaglie iniziate prima che nascessi” e quindi che intende stabilire relazioni diplomatiche con Cuba, precisando di aver chiesto al Congresso d’intraprendere la via per sospendere l’embargo vecchio di decenni.

Raul Castro, prendendo la parola subito dopo, ha esordito dicendo che “sono sei vertici che Cuba è esclusa per le pressioni Usa”, ma ha definito Obama onesto e non responsabile per quanto fatto dai 10 Presidenti che l’hanno preceduto. Ha sottolineato altresì, che la promessa esclusione di Cuba dalla black list degli Stati sponsor del terrorismo è un atto di giustizia, perché Cuba è stata vittima di continue aggressioni, non la mandante.

Fin qui le parole di un vertice che vede per la prima volta Cuba fra i partecipanti; poca cosa, certo, ma di un enorme valore simbolico e politico, volutamente avallato anche dal comunicato ufficiale della Casa Bianca. In margine al vertice i due leader s’incontreranno ancora, ma è ovvio che si tratta solo di un inizio, perché oltre cinquant’anni di sistematica aggressione non possono essere cancellati da poche telefonate (l’ultima mercoledì scorso) e da un incontro.

I problemi sul tappeto sono enormi come le divergenze, in primis l’atteggiamento Usa verso il Venezuela di Maduro. Obama, però, negli ultimi anni della sua presidenza sembra intenzionato a ribaltare radicalmente le politiche dei suoi predecessori, dettate peraltro dai centri di potere che gli sono sempre stati ostili e contro cui adesso si sente libero di agire.

Ne fa fede l’incontro con alcuni dissidenti cubani, nel corso del quale ha ribadito chiaramente la sua volontà di apertura nei confronti di Cuba. Non è una presa di posizione di poco conto perché, alle soglie della campagna elettorale per la Presidenza, l’ostilità degli anticastristi rifugiatisi in Florida rischierebbe di far perdere ai democratici uno Stato da sempre decisivo per la corsa alla Casa Bianca.

Obama, non più condizionato da una rielezione, sembra aver deciso di seguire un’agenda propria a dispetto dell’orientamento delle lobby e dei vari candidati democratici alle presidenziali, per prima la Clinton, che domenica ufficializza la propria candidatura e proprio a quei centri di potere è legata a doppio filo.

Resta da vedere come reagirà un Congresso controllato dai repubblicani, nell’insieme ferocemente contrari alle aperture del Presidente. È prevedibile che Obama, che si sente le mani libere, vorrà continuare sulla sua strada anche a costo di una contrapposizione frontale, grazie ai notevoli poteri della Presidenza, costringendo così i democratici a compattarsi loro malgrado, dinanzi all’attacco dei repubblicani.

Non sappiamo quali risultati concreti porterà quest’ultima fase della presidenza Obama, è però un fatto che, in tutto il mondo, i vecchi sistemi di potere e gli equilibri che esprimevano s’incrinano sempre di più dinanzi al procedere degli eventi.

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