A Hong Kong muore la stampa libera
Kevin Lau è un giornalista di 49 anni; fino al 6 gennaio scorso era il direttore del Ming Pao,un giornale di Hong Kong. Il 26 febbraio, in pieno giorno, a pochi passi da un posto di polizia, un sicario è sceso dalla moto, gli ha inferto sei pugnalate e si è allontanato tranquillamente. Ora è in ospedale, ancora in gravissime condizioni, e impiegherà anni per riprendersi se non insorgeranno complicazioni.
Secondo l’opinione generale ad agire è stato un sicario delle Triadi, le potentissime organizzazioni criminali locali, la loro mafia insomma.
Anche se è vivo per puro miracolo, la polizia ha detto che l’intento non era uccidere ma punire (in effetti Lau, se se la caverà, sarà invalido per anni se non per sempre), e per giorni è rimasta passiva, finché, sotto la spinta delle proteste generali, non ha effettuato diversi arresti, dicendo di aver preso gli autori, gente della mala, che avevano ricevuto il corrispondente di 100.000 euro a testa per il “lavoro”, ma ha sostenuto di non aver trovato alcuna connessione fra l’agguato e l’attività giornalistica di Lau. A questo, a Hong Kong, nessuno ci crede.
E allora? Chi è il mandante e perché?
Per comprendere occorre dire alcune cose: Hong Kong era una colonia inglese fino al 1997, quando divenne una regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese; un Paese, due sistemi fu lo slogan, perché vi era un’immensa differenza fra il Continente e la modernissima metropoli insulare, a cui fu lasciata una notevole indipendenza perché ai governanti di Pechino non conveniva strangolare quel ricco gioiello gonfio di capitali. Ma la differenza non era solo economica; a Hong Kong ci sono 25 giornali che vendono circa tre milioni di copie al giorno ai sette milioni di abitanti. L’informazione libera, qui, è sempre stata assai importante. E influente.
Dal ’97 le cose sono assai cambiate sul Continente, le differenze economiche (che ci sono ancora, eccome!) si sono un po’ attenuate e Pechino vuole stringere la presa su quella città troppo autonoma. Fra pochi anni, nel 2017 secondo gli accordi del ’97, ci saranno le lezioni che completeranno il lungo periodo di transizione, e il potere vuole assicurarsi di poter scegliere a discrezione i candidati che governeranno sulla più ricca delle sue regioni; per farlo intende controllare la stampa. Così, giorno dopo giorno, i proprietari di giornali e Tv sono blanditi con importanti incarichi pubblici e grassi contratti pubblicitari dalle aziende di stato, a patto, ovviamente, che seguano le direttive che vengono imposte; e chi non si allinea si trova in breve senza finanziatori, con problemi insolubili col sistema bancario (che è di Stato) e senza la pubblicità che abbonda per gli altri. In questo modo Hong Kong, che ancora nel 2002 era al 18° posto nel mondo per la libertà di stampa, è caduta al 62°, peggiorando di anno in anno.
Ma tornando a Lau, perché è stato punito? Certo, era un giornalista serio e indipendente, di quelli che tirano dritto senza compromessi, ma proprio per questo il 6 gennaio scorso, malgrado gli ottimi risultati del giornale, era stato bruscamente sostituito con un nuovo direttore venuto dalla Malaysia e che non conosce per niente la città. Allora, perché colpire un ex direttore?
Le aggressioni a giornalisti son divenute frequenti a Hong Kong: dita mozzate, ossa fracassate con mazze da base ball, intimidazioni, e la polizia non viene mai a capo di nulla, liquidandole come causate da “motivi personali”. Ma nel suo caso di motivi potrebbero essercene, e assai grossi: i suoi collaboratori hanno fornito alla polizia almeno una diecina di servizi scottanti pubblicati negli ultimi tempi, fra cui un’inchiesta, uscita a gennaio con enorme clamore, su enormi conti segreti che miliardari e politici cinesi e di Hong Kong avevano aperto nel paradiso fiscale delle Isole Vergini Britanniche. I documenti già pubblicati sono solo una piccola parte delle migliaia scoperti, e le coltellate possono essere (diremmo sono) l’avvertimento inviato a Lau e a chiunque altro, di non insistere sull’argomento.
Voci bene informate, ma che ovviamente vogliono rimanere segrete, hanno sussurrato alla stampa occidentale che la pista dei conti alle Isole Vergini porta dritta al colossale scandalo di corruzione per la costruzione della ferrovia ad alta velocità in Cina. È uno scandalo enorme, tenuto sotto traccia, roba da molti, molti miliardi di dollari, che tocca il cuore del potere cinese. Se a questo s’aggiunge che il Presidente cinese Xi Jinping sta conducendo una battaglia dura contro molti “principi rossi”, in nome della lotta alla corruzione (che sia motivata dalla presa d’atto che la piaga è effettivamente giunta oltre il livello di guardia e minaccia realmente il Sistema Cina, o sia solo una scusa per giustificare “purghe” e giochi di potere poco importa), quei documenti potrebbero rappresentare la fine di molti “mandarini” che siedono a Pechino. E far capire che se sono state le Triadi a colpire Lau, i mandanti vengono da molto lontano.
Sia come sia, fra giochi di potere e corruzione, la stampa libera di Hong Kong è alla fine. Ai potenti, a chi persegue solo i propri interessi, una stampa libera è ostacolo insopportabile. Sempre. E noi lo sappiamo anche troppo bene.