Sud Italia – La nostra memoria è una combinazione di memoria individuale e memoria collettiva, le due sono strettamente intrecciate. La storia è memoria collettiva, anche la lingua è memoria collettiva. Rubare la vera storia è un crimine, quando questa viene rubata, o riscritta non siamo più in grado di sapere chi siamo. Quando la lingua “naturale” di una popolazione – il dialetto – viene defraudata per un nuovo strumento linguistico, perde il contatto con il suo mezzo d’espressione più antico, diviene del tutto incapace di riconoscersi nelle proprie tradizioni: come potrà allora affermare la propria identità?
Che il Sud Italia sia stato defraudato della sua storia è ormai noto a molti, tranne che ai libri di storia, su cui studiano i nostri ragazzi. Molte città del sud non hanno esitato a rispettare la storia e la memoria dei Padri. Purtroppo i peggiori nemici della verità e della memoria storica si sono sempre annidati tra la gente del sud.
Eppure è evidente e chiara la verità. Gaeta e tutto il Sud Italia portano ancora i segni della devastazione materiale e morale che i Savoia operarono fin dal 1860. Bombardamenti, saccheggi, deportazioni ed ogni specie di violenza su popolazioni inermi e paesi antichissimi per far sparire l’antica civiltà contadina e mediterranea di un Sud millenario. Gli artefici di tanto male non possono calpestare indisturbati, superbi e indifferenti, il suolo di una terra ancora intrisa del sangue dei Padri.
Unità d’Italia avvenuta con una pulizia etnica
La cosiddetta Unità d’Italia è avvenuta con una pulizia etnica, molto simile a quella che si è verificata con i Nativi Americani. Quante ferite mai rimarginate, come il Lager di Fenestrelle, sono state inferte al Sud con l’Unificazione d’Italia, o meglio con la colonizzazione del Sud, uno straordinario capolavoro geopolitico. L’acquisizione di una specie di colonia da parte della Francia e soprattutto dell’Inghilterra grazie ad una guerra combattuta e pagata dall’Italia, che si è pure impegnata – grazie ai suoi capi politici – a garantire vantaggi futuri al conquistatore. Quanti eroi dimenticati, come Passannante, attendono giustizia dalla Storia e soprattutto da tutti i meridionali.
Quanto al dialetto, alla lingua “naturale” del Sud che – quella non inquinata – vive ancora brace sotto la cenere, pochi meridionali hanno detto: “L’italiano dint’ ‘a casa mia nun ha da trasì. È ‘na lingua barbara e senza Dio!” come diceva Annibale Ruccello nella sua opera “Ferdinando,” scritta prima di morire a trent’anni.
Una lingua imposta
L’italiano, la lingua matrigna, è stata imposta a suon di bacchettate sulle mani, umiliazioni e falsità. Non c’è nulla di naturale nello spingere i genitori a non parlare la loro lingua madre con i propri figli. Decisioni interamente politiche ed ideologiche che hanno umiliato generazioni di bambini, portando alla morte della diversità linguistica nel nostro Paese che ben poco ha in comune con la “morte naturale”.
Le parole in dialetto escono più spontanee, sono umane, calde, accattivanti, t’avvolgono e t’abbracciano riscaldando il cuore, specie la parlata partenopea o siciliana, che è nobile, ricca come la sua storia, tanto antica aldilà della Grecia, con radici che hanno origine nella terra del sole che nasce e diventano sempre più forti nella terra del sole che tramonta, acquistando vigore dal sangue federiciano, normanno, angioino, aragonese, asburgico, borbone. E poi? Chi cumanna ‘a quatriglia ha cercato di soffocarla, con l’imposizione dell’italiano risciacquato in Arno.
Sud Italia, Unesco riconosce lo stato di lingua madre ma lo Stato centrale no
Il Napoletano era la lingua parlata nelle antiche Due Sicilie, che costituivano il Regno al di qua del faro di Messina. Il Siciliano era invece la lingua del Regno che si parlava al di là del faro. L’Unesco riconosce al Napoletano ed al Siciliano lo stato di lingua madre, ciò vuol dire che tra le lingue italo-meridionali sono da considerarsi lingue separate dall’italiano standard, il Toscano e non dialetti di questo. Addirittura la Sicilia è l’unica Regione a Statuto Speciale che non si vede riconosciuta la propria lingua. Ottenere uno status legale del Napoletano e del Siciliano come Lingue Proprie dell’Italia meridionale ne permetterebbe l’utilizzo nelle scuole, negli uffici pubblici e nei mezzi di informazione.
Difendiamo la memoria storica del Sud Italia, promuovendo attività di valorizzazione della napulitanità, e incoraggiando i giovani talenti impegnati in gruppi musicali e teatrali che si sono fatti conoscere anche all’estero come la “Compagnia del futuro” e “Il luogo in buio” dello stabiese Cristian Izzo.
Tuteliamo la lingua madre con il poeta Ignazio Buttitta, siciliano di Bagheria, perché quando un popolo non osa più difendere la propria lingua, è pronto per la schiavitù. “Un populu diventa poviru e servu quannu ci arrubbanu a lingua addutata di patri: è persu pi sempri”.
Non sottovalutiamo le parole di Milan Kunder: “Per liquidare i popoli si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia. Dopo di che il popolo incomincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato. E il mondo attorno a lui lo dimentica ancora più in fretta”.
di Cristina Amoroso