Recovery Found: successo o truffa?
Per raccontare la maratona che ha portato al raggiungimento dell’accordo sul Recovery Found bisogna partire dai numeri. Cinque giorni di trattative, ore di incontri bilaterali tenuti anche nella notte ed una durata che ha stabilito un nuovo record, cancellando quello del vertice di Nizza del 2000. L’accordo è stato raggiunto solo alle 05:30 di martedì 21 Luglio.
L’Unione Europea tra mille difficoltà causate dai Paesi frugali (Olanda, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia) è riuscita a stanziare un fondo di 750 miliardi di euro, di cui 390 miliardi di sussidi. L’Italia riceverà 209 miliardi di euro, schivando anche il diritto di veto che era stata la bandiera degli Stati frugali.
Tutto bene quindi? Come sempre accade la verità bisogna saperla cercare e leggere tra le righe perché tra le fanfare di trionfo suonate da Giuseppe Conte ed il disfattismo di Salvini che grida all’imbroglio, bisogna guardare in mezzo.
All’Italia di Conte è stata risparmiata l’esperienza della Grecia di Tsipras del 2015, soprattutto per la differenza di peso economico delle due nazioni. Un eventuale crollo italiano avrebbe trascinato con sé l’intera Unione. Pericolo scongiurato quindi, ma per capire quanto è stata dura questa trattativa basti pensare che l’incontro tra le nazioni sarebbe dovuto durare due giorni, ce ne sono voluti tre in più.
Alla fine tutti sono tornati a casa con in mano qualcosa, anche quei “frugali” che hanno fatto la voce grossa perché come appare ad un’attenta analisi gli ostacoli e la durezza di Rutte e Co. nascondevano ben altre problematiche dei soldi.
Recovery Found: vittoria di Conte o una vittoria di Pirro?
Conte porta comunque a casa un bottino. Confermata la cifra totale di 750 miliardi complessivi, 390 dei quali in trasferimenti e 360 in prestiti con relativo aumento del debito pubblico.
L’oggetto del contendere quindi non era la necessità di un intervento che tutti volevano, ma stabilire delle gerarchie di potere all’interno dell’Unione Europea e fare anche un po’ di campagna elettorale mettendo in chiaro quali sono le nazioni che comandano e quelle che obbediscono facendo diventare gli uffici di Bruxelles dei ring nella quale regolare conti nazionalistici.
Il nocciolo dello scontro, come riferito con disarmante sconforto da ogni inviato a Bruxelles, riguardava il “potere di veto” preteso dall’olandese Mark Rutte su ogni tranche di erogazione del fondo ad ogni singolo Paese. Uno qualsiasi dei 27 avrebbe potuto bloccare tutto in ogni momento, in un inferno di veti incrociati e prevedibili ritorsioni che avrebbe significato la paralisi del Recovery Fund e della stessa Ue che metteva in discussione le stesse istituzioni comunitarie create per questo.
Cosa ha ottenuto l’Italia?
Si tratterà di mettere in campo le riforme di pensioni, lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, istruzione e sanità. A scanso di equivoci, visto che si tratta di ridurre sul lungo periodo un debito pubblico che in questo frangente necessariamente aumenta, si parla di tagli draconiani su tutti questi capitoli. Fin qui il giudizio sulla “ammissibilità” o meno dei singoli piani nazionali spettava alla Commissione Europea, insomma il “governo” comunitario guidato dalla Ursula von der Leyen.
Ora, accettando di fatto la posizione olandese (e tedesca, altrimenti non sarebbe mai passata), il giudizio di Bruxelles sarà votato anche dai ministri a maggioranza qualificata. In pratica, basta un gruppo di Paesi che rappresenta il 35% della popolazione dei 27 a bloccare ogni singola erogazione delle “rate” del Recovery Found. I “frugali” non dispongono di quelle dimensioni, perciò è chiarissimo che questo meccanismo prevede l’intervento di un “grande Paese” con capitale Parigi o Berlino.
Una vittoria quindi? L’Italia si è presentata nelle peggiori condizioni possibili perché non aveva presentato un preciso progetto di spesa sui fondi che andava a chiedere. Il testo era così generico che ha attirato il sospetto dei Paesi “frugali” che non aspettavano altro alimentando i sospetti verso una Paese che ha un debito pubblico da film horror e con un evasione fiscale che aumenta di anno in anno. La diffidenza sull’Italia è giustificata perché nei Paesi nordici è ormai chiara l’idea che il ricorso al debito è il sostitutivo della mancata lotta all’evasione sulla quale nessuno vuole intervenire. Si è ottenuto il possibile, quanto sia buono lo si vedrà con il tempo.
di Sebastiano Lo Monaco