Africa – Non passa giorno in cui non veniamo spinti dai media a sentirci in colpa per i migranti che fuggono da fame, guerra e miseria, colpa che noi gente comune dobbiamo espiare lasciando aprire le nostre frontiere a tutti coloro che desiderano venire nel nostro Paese. Perché, dicono, costoro hanno il diritto a “migrare”, quando il loro Paese d’origine non è più in grado di garantire loro un futuro. Quella del migrante è la nuova condizione sociale che le élites vogliono imporci: migrante, per definizione, è la persona sempre in movimento, che dunque non ha stabilità. Guarda caso, è la medesima condizione delle merci e dei capitali nel mercato globale: le persone non appartengono più a un territorio, a una storia, a una cultura: sono anch’esse cose che devono girare per il mondo. E non si pensi che riguardi solo gli altri: pensate agli italiani emigrati all’estero non 100 anni fa, ma negli ultimi 10-15 anni, non hanno lasciato anch’essi il loro Paese alla ricerca di un futuro altrove?
Chi è costretto a lasciare la propria patria, non è un fortunato privilegiato che può girare il mondo, conoscere Paesi e culture diverse dalla propria e fare nuove esperienze: è vittima di una potenza esageratamente più grande di ogni singolo essere umano, che l’ha cacciato in un circuito vorticoso di persone-merci-capitali esteso a tutto il pianeta. Quando una persona parte “alla ricerca di un futuro migliore”, abbandona il suo Paese nella tenaglia dei gruppi finanziari transnazionali, i quali vogliono che le persone più capaci, più giovani, più disperate, se ne vadano dai propri Paesi, cosicché non resti più nessuno che possa ribellarsi e scatenare contro i politicanti locali al servizio del grande Capitale. Non facciamoci ingannare allora, dalla “retorica Erasmus” di “quanto è bello girare il mondo”, o dalla retorica sinistro-vaticana dell’accoglienza. Migrare non è un diritto, ma una condanna per sé e per il proprio Paese. Quindi più che il diritto a migrare, una seria forza politica anticapitalista dovrebbe battersi per garantire alla nostra gente, e ai popoli vittime dell’imperialismo, il diritto a restare a casa propria: uno ius soli antiglobalista. Chi lavora allo svuotamento dell’Africa (o dell’Italia), lavora per la grande finanza. Tenere le frontiere aperte ed essere accoglienti con chi scappa da fame e guerre (causate dalla grande finanza), non è di sinistra, è di destra (finanziaria).
Torniamo all’Africa. Tutta la retorica della sinistra (del Capitale) e del Vaticano si concentra sui problemi a valle (come accoglierli), ma volutamente tralascia i problemi a monte (perché partono). I fattori di spinta (o, meglio, di espulsione) degli africani dalla loro terra potremmo allora così velocemente riassumerli:
- Lo sfruttamento economico capitalistico;
2. L’aggressione militare diretta (es. Libia) o indiretta (es. tramite i terroristi);
3. La pesante intromissione negli affari interni dei Paesi africani (da parte di governi occidentali, Ong, Onu, Fmi, ecc., che possono portare a colpi di Stato eterodiretti);
4. L’attrazione esercitata dalla società consumista occidentale;
5. Il cambiamento climatico.
I frignoni come la signora Boldrini o il signor Saviano, che piangono sui migranti che affogano nel Mediterraneo, tacciono sulle cause delle guerre, della miseria, della fame degli africani, forse perché sono le medesime persone complici, e attive propagandiste, delle aggressioni imperialiste e dello sfruttamento capitalistico dell’Africa? Lo squallore è che non provano imbarazzo alcuno. Come quando difendono a spada tratta le Ong scafiste, che lucrano, insieme alle organizzazioni criminali, sulla disperazione di tutta quella gente (africani, ma anche siriani, palestinesi, curdi, ecc.) che davvero scappa dalle guerre e dalla povertà. Ong celebrate per tutto l’orbe terracqueo dai media globali come organizzazioni di moderni “missionari della carità”, anime pure che dedicano se stesse con abnegazione alla salvezza dei poveri e degli ammalati. C’è da chiedersi allora, come mai, nonostante questo indefesso impegno, interi eserciti di poveri scappano dall’Africa per venire qui da noi.
Le Ong operano in Africa da decenni: perché, dopo tutti i pacchi regalo, le donazioni (“Kayende rischia di perdere la vita, dona 2 euro con un sms”), i bollettini dell’Unicef, i concertoni delle più grandi stars della musica mondiale, gli aiuti alimentari, i medicinali, l’Africa affonda sempre più nel pantano? Il motivo è molto semplice: perché le Ong non hanno mai aiutato davvero l’Africa, casomai hanno contribuito in maniera determinante a renderla sempre più dipendente dagli aiuti economici occidentali: «Se il mondo ricco continua a dare all’Africa dei morti di fame e dei migranti fiumi di beneficienza su tutto» scrive Paolo Barnard, «l’Africa rimane schiava al 100% del mondo ricco, che così li può ricattare e gli può fottere le ricche risorse a due soldi. Se il mondo ricco invece dicesse [alle Ong] di levarsi dalle scatole, e studiasse una soluzione sistemica in termini di governance africana, in termini di istruzione di massa africana e in termini di loro autonomia delle risorse e del commercio, allora l’Africa diverrebbe davvero indipendente, stabile, benestante e fine incubo migranti da noi. La soluzione sarebbe sistemica. […] Ma ai Big Business e a molti governi ricchi la seconda non va. L’Africa deve rimanere terra di sfruttamento e orrori, conviene ai Big Business e a molti governi ricchi».
Miseria umana: se l’Africa finalmente si rendesse prospera e indipendente dalle potenze straniere, i “missionari” delle Ong diventerebbero tutti disoccupati. Addio ricchi finanziamenti, addio fama mediatica. E quindi: che gli africani debbano essere sfruttati a morte, conviene dopotutto anche a questi angioletti strapagati, mica solo ai capitalisti (che per giunta li finanziano).
Non contenti di coprire il traffico di esseri umani organizzato dalle Ong sorosiane, i “missionari dell’imperialismo” di cui sopra sono attivamente impegnati anche nel promuovere accordi internazionali, come il “Patto Globale” sulle migrazioni siglato da 192 governi a Marrakesh, in Marocco, nel dicembre 2018: questo “Patto Globale”, che – si diceva – serve a regolare i flussi migratori e a far condividere dai governi firmatari mezzi, principi e oneri, altro non è che la faccia presentabile e legale dell’imperialismo, che ora, sotto l’egida delle Nazioni Unite, favorisce le migrazioni di popoli per permettere ai potenti gruppi economici transnazionali di impadronirsi delle risorse africane: «[…] dove non puoi sgomberare, a forza di terroristi e bombe, territori ricchi di risorse e utili per le rotte di merci e persone» scrive Fulvio Grimaldi, «fai muovere il culo ai sedentari, nel senso di seduti su quanto occorre a noialtri per mandare avanti il business e il dominio. Terre del cibo, nostro monopolio, dei minerali, nostro monopolio, dell’acqua, dell’energia, dei tubi, tutti nostri monopoli. Come lo fai? Prima ti compri i governi di partenza, a forza di trenta denari, poi quelli di arrivo a forza di regole, di Ong e di sensi di colpa per le malefatte del primo colonialismo. Con questo sistema, globale quanto tutto il resto della globalizzazione imperiale, a forza di monopolio anche mediatico sinistro-destro, convinci il colto e l’inclita che è tutto a fin di bene. Strutturale, ragazzi, non è l’emigrazione, quella è provocata a vantaggio di alcuni e a detrimento di milioni. Strutturale è il colonialismo».
La copertura merdiatica alle Ong salvatrici di disperati offre il destro alle potenze plutocratiche per aggredire l’Africa, il continente più ricco del mondo in termini di risorse alimentari, minerarie, energetiche, in una nuova scramble for Africa, la “corsa all’Africa” dopo quella del primo colonialismo europeo, il cui obbiettivo finale è quello di trasformare il continente nero sia in una riserva agricolo-industriale del capitalismo mondiale sia in un serbatoio di forza lavoro (“esercito industriale di riserva”) per quando il costo del lavoro dovesse crescere troppo nei paesi ricchi, con il pieno supporto delle progressiste e antifasciste Ong. Con la sola differenza rispetto al passato, che le vecchie potenze coloniali ora si trovano ad affrontare la ben più agguerrita concorrenza di attori geopolitici come gli Stati Uniti, la Cina, l’India, ma anche le monarchie del Golfo, la Turchia, la Corea del Sud, il Giappone. Per le conseguenze su scala mondiale dello sfruttamento dell’Africa (dalle migrazioni di popoli al possesso delle materie prime), il XXI secolo sarà, nel bene o nel male, il secolo africano: perché o gli africani si libereranno definitivamente dalla dominazione straniera, o conosceranno altri secoli di sottomissione.
Si capisce allora, che possiamo aiutare l’Africa innanzitutto andandocene via di là. Ma l’unico vero modo, affinché gli africani siano finalmente padroni a casa loro, sta nell’abbattere l’ordine globale neoliberista. Anche qui, a casa nostra, possiamo giovare alla causa della libertà africana, iniziando intanto con un piccolo semplice gesto di ribellione, cioè non votando più quei partiti che promuovono lo sfruttamento dell’Africa (praticamente tutti) e l’accoglienza ad oltranza, che è un servizio reso alla finanza (praticamente, quelli di sinistra), e che hanno un programma di politica estera di totale subordinazione all’imperialismo anglosionista (praticamente tutti). Che il nostro comune imperativo, morale e politico, sia: l’Africa agli africani!
di Alexander Sartori