Sicurezza sul lavoro, grande distribuzione nel mirino
La sicurezza sul lavoro è una tematica mai troppo considerata nel panorama italiano dove viene sempre bistrattata salvo poi ricordarsene nel momento in cui si è dinnanzi ai morti. Proprio quelle morti che in uno sprazzo di malsano liricismo vengono definite “morti bianche”. Eppure i mezzi per poter prevenire quanto accade nei luoghi di lavoro ci sono, le leggi bene o male sono state fatte ma il problema è farle applicare. La mancanza cronica di ispettori del lavoro amplifica il problema.
Nel mirino non vi sono solo i piccoli imprenditori che vessano o tengono senza tutele i propri lavoratori, ma come è già accaduto in quel drammatico incidente alla Tyssen&Krupp di Torino, a fare notizia sono anche le multinazionali, anche quelle che si occupano di Gdo (Grande Distribuzione Organizzata. Le Gdo si dividono in Gd (Grande Distribuzione) come Coop, Carrefour, Lidl, e Do (Distribuzione Organizzata), ma se si pensa che tutto ciò sia una prassi consolidata negli ultimi anni ci si sbaglia di grosso. La data di nascita di tale organizzazione è da rintracciarsi nel 1852 con il magazzino “Le Bon Merchè “di Parigi.
Uno dei maggiori problemi che si riscontra nella Gdo è quello della sicurezza, ed è quanto emerso dalla denuncia di un ex dipendente della Lidl che si è visto recapitare una lettera di licenziamento proprio perché ha denunciato quanto succedeva nella filiale da lui gestita. Contattata in proposito, la Lidl non ha negato il procedimento in corso ma ha strenuamente rifiutato che fosse dovuto alle denunce fatte dall’ex capofiliale.
Sicurezza sul lavoro
Innanzitutto la sicurezza, molti magazzini non sono idonei alla mole di merce che viene stoccata. Poi vi è il sempre sottostimato problema dello stress e quello dell’orario di lavoro, ma a saltare agli occhi nel leggere la denuncia dell’ex dipendente della Lidl è la questione della gestione dello stress. “Gli psicofarmaci, in Lidl, sono la normalità. Io sono il primo che assume regolarmente ansiolitici, e non va bene. Tutto questo si riflette sulle malattie professionali che sono lunghe e difficili da codificare. Pensiamo all’amianto, ci sono voluti decenni, e decine di migliaia di morti, per capirne la pericolosità. La nostra generazione non andrà a morire di lavoro, ma patirà danni irreparabili all’apparato muscolo-scheletrico, e soprattutto alla psiche”.
A chi dare la colpa di tutto ciò? Si potrebbe osare nel dire che è il vizio della mentalità capitalistica quello di trattare il lavoratore non come un essere umano ma come un mezzo di produzione. Pensando di esserci liberati dall’uomo macchina delle catene di montaggio raccontato benissimo da Charlie Chaplin in “Tempi Moderni”, la filosofia di base è rimasta sempre la stessa.
Basterebbe rileggere l’art. 41 della nostra costituzione (al completo), articolo di cui non si parla mai in queste occasioni perché troppo scomodo, ma che è utile riportare: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Come sempre accade la Costituzione indica la strada, ma nessuno è così savio da percorrerla.
di Sebastiano Lo Monaco