Yemen, liberiamolo dalle bombe italiane
In Yemen, nella penisola arabica, si sta consumando una guerra che dura da quattro anni e che miete le sue vittime soprattutto tra i civili. Finora i morti sono stati oltre 10mila di cui almeno mille bambini, quasi tre milioni gli sfollati, oltre 22 milioni le persone che si trovano in una situazione di estremo bisogno e che dipendono dagli aiuti umanitari.
Di recente, il vice segretario per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, Stephen O’Brien, ha definito la situazione del Paese «una catastrofe umanitaria senza precedenti».
Il blocco navale imposto dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti sul porto di Al-Hodeidah ha complicato in questi anni l’arrivo di viveri di prima necessità, l’entrata di medicinali e di materiale sanitario. La scarsità e l’inaccessibilità di viveri e cure piegano la popolazione sempre più affamata, deperita e maggiormente vulnerabile a patologie ed epidemie. In questo contesto, la fame diventa una condizione pensata, voluta e ricercata come arma da guerra. In una tale situazione le epidemie, soprattutto quella del colera, trovano un terreno fertile sul quale dilagare. Le condizioni di scarsità igienica e la sempre più difficile accessibilità ad acqua filtrata riducono drasticamente le possibilità di contrastare l’epidemia. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, un altissimo numero di contagiati è rappresentato da bambini di età inferiore ai cinque anni.
Nel marzo del 2018 Amnesty International ha accusato i Paesi occidentali di fornire armi all’Arabia Saudita e ai suoi alleati, responsabili di crimini di guerra in Yemen. Anche l’Italia vende armi alla coalizione Saudita, nonostante il nostro paese abbia emanato una norma inequivocabile a riguardo.
La legge n. 185/90 “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” sancisce il divieto di vendere e fornire armi a paesi coinvolti in conflitti armati. L’articolo 1, comma 6, della legge recita:
L’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere;
b) verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione;
c) verso i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite;
d) verso i Paesi i cui governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo.
In merito, ricordiamo quanto sancito dall’articolo 11 della Costituzione italiana: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, a condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e fornisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Condividiamo, allora, le richieste avanzate al Governo Italiano da alcune Ong umanitarie che stanno monitorando il conflitto:
- – Imporre un embargo immediato sulle armi e la sospensione delle attuali licenze di esportazione;
- – Attivare e promuovere iniziative concrete per la risoluzione diplomatica e multilaterale del conflitto;
- – Aumentare il budget destinato agli aiuti umanitari, in soccorso alla popolazione civile yemenita;
- – Attivare e finanziare il fondo per la riconversione dell’industria militare previsto dalla stessa legge 185/90;
- – Intraprendere iniziative affinché siano rigorosamente rispettati i divieti di bombardamento di ospedali, scuole, strutture di cura;
- – Condannare l’uso di munizioni a grappolo;
- – Sollecitare l’istituzione di un’indagine internazionale indipendente per esaminare le possibili violazioni del diritto umanitario internazionale da parte di tutte le parti in conflitto. Riconosciamo in tali azioni il rispetto del diritto nazionale e internazionale, la condanna inequivocabile della violenza e il principio da cui partire per costruire una società più giusta, in un mondo più sicuro e libero per tutti e tutte.
Ortica Selvatica, Rhiot