Delitto d’onore e omicidio da “tempesta emotiva”
Le attenuanti del delitto d’onore venivano abrogate il 10 Agosto del 1981 con la legge n.442. Prima di allora, la pena massima inflitta ad un uomo che uccideva una donna, fosse essa la propria moglie, figlia o sorella, era di soli sette anni. L’uomo che compiva un atto violento che cagionasse la morta alla donna alla quale era legato da un rapporto sentimentale, era compreso nel suo gesto, poiché si presumeva essere la conseguenza estrema di uno stato di ira. Una legge odiosa e scandalosa che permetteva a molti uomini di farla franca, di essere considerati loro stessi vittime, mentre le vittime reali, zittite per sempre e impossibilitate a difendere il proprio onore davanti ai giudici, oltre a pagare con la vita le proprie scelte, venivano oltraggiate dall’etichettatura di “male femmine”, donne che se l’erano cercata.
Non è un secolo così lontano, sono solo una manciata di decenni e anche quando le leggi ingiuste vengono abrogate, rimane un’ingiustizia di fondo nell’animo umano che mette sempre la donna come prima responsabile delle violenze che subisce. Ancora oggi una gonna troppo corta o una scollatura troppo generosa ad incentivare uno stupro, oppure l’ora tarda su una strada solitaria percorsa per rientrare a casa a incoraggiare un’aggressione. Ancora oggi, la scelta di troncare una relazione e lasciare un uomo, a portare quest’ultimo a sfogare la propria rabbia e frustrazione, a compiere un delitto, a rimuovere definitivamente la causa del suo malessere. Oggi si chiama “delitto da tempesta emotiva”.
Delitto d’onore: i fatti del 5 Ottobre 2016
Olga Matei aveva 46 anni, era una mamma, oltre che una donna forte e libera. Viveva a Riccione, ma era di origini moldave. Aveva conosciuto Michele Castaldo solo poco tempo prima dell’omicidio. Michele era geloso, cercava prove di tradimento nel telefono di Olga, nelle chiamate e nei messaggi, malgrado la loro fosse una conoscenza che non poteva definirsi ancora una vera e propria relazione. Quel giorno Olga voleva interromperla questa conoscenza. Quell’uomo era ossessivo e insistente, tutte le sue fragilità corrodevano ogni sforzo di iniziare un rapporto sereno.
Qualcosa non andava e bisognava liberarsi, salvarsi da una presenza che si faceva pesante e che aveva sentore di pericolo. Ma quel giorno, dire a Michele la sua decisione, le costa la vita. Michele afferra il collo di Olga fra le sue mani, una forza e una volontà di uccidere tali che non scalfiscono i tentativi di difendersi di Olga. Impossibile scampare a quella ferocia, a quell’odio profondo che lui chiamava amore.
La sentenza retrograda del 2019
Un ergastolo che muta in 30 anni di carcere, ancora dimezzati a 16 anni con la sentenza della Corte d’Appello di Bologna. In poche parole, la sentenza guarda con occhio benevolo l’assassino, tenendo conto delle “sue poco felici esperienze di vita” oltre alla “soverchiante tempesta emotiva e passionale” che lo portò a compiere il delitto d’onore. Non sembrano attenuanti tanto diverse da quelle che sollevavano dalle loro piene responsabilità gli assassini delle donne nel XX° secolo.
Uno, venti, cento passi indietro, più che verso il passato, verso il baratro. Il dolore per chi amava davvero Olga è una pena a vita. Questa sentenza oltraggia lei e tutte le donne, condanna la loro forza di vivere e il loro potere di decidere della propria vita, porta il valore delle nostre vite ad uno stato di fragilità assoluto davanti alla giustizia dei tribunali. Torniamo ad essere colpevoli, ancora una volta, di scatenare contro noi stesse l’ira mortale per ragioni d’amore.
di Anna Lisa Maugeri