Autonomia del Nord: obiettivo ridimensionare i ministeri
Il progetto sull’autonomia del Nord sta passando in sordina, oscurato dalle problematiche inerenti il reddito di cittadinanza e le diatribe sulla Tav. Eppure quello che si sta effettuando nel più assordante dei silenzi è un passo che cambierà definitivamente i rapporti non solo di forza verso la capitale, ma soprattutto con le restanti regioni che dall’autonomia avranno effetti devastanti.
Uno dei commi all’interno della bozza che prevede l’autonomia per le regioni virtuose del Nord riguarda quello che viene menzionato come “ridimensionamento” e riguarda i ministeri che in una sorta di dieta saranno costretti a “dimagrire”, una richiesta specifica voluta dalle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
Spiega l’articolo 4 che il riordino delle amministrazioni dovrà avvenire entro quattro mesi dall’entrata in vigore della legge di approvazione delle intese per l’autonomia, il Consiglio di Stato avrà 30 giorni per esaminare il taglio delle funzioni dei ministeri e successivamente i provvedimenti saranno trasmessi alle Camere che a loro volto avranno un mese di tempo per dare un parere, decorso il termine di regolamento che ridimensiona i ministeri sarà approvato con il meccanismo del silenzio-assenso.
In parole semplice Roma subisce un colpo mortale viste le richieste della Lombardia e del Veneto a cominciare dai 200mila dipendenti della scuola che si portano dietro otto miliardi di euro di risorse gestite direttamente dallo Stato centrale, cosa che non accadrà più non appena sarà approvato il progetto autonomia.
Alle regioni finiranno immediatamente i dirigenti scolastici che avranno un ruolo ex novo così come nuovi ruoli ci saranno per tutto il personale sia tempo determinato che a tempo indeterminato; i professori e il personale non docente che è attualmente in carico allo Stato può scegliere se rimanere a carico del ministero dell’Istruzione oppure passare a quello della regione, ed è qui che si gioca il senso dell’autonomia visto che si tenderà a svuotare il dicastero romano di risorse e di competenze che andranno ad arricchire la regione.
L’autonomia richiesta a gran voce dalla Lombardia, dal Veneto e leggermente più in sordina dall’Emilia Romagna è una questione meramente finanziaria visto che queste tre regioni manterranno sul territorio una parte del gettito Irpef, avranno un aliquota regionale da far valere sempre sulla stessa base imponibile sulla parità di tasse; inizialmente parte di queste imposte sarà trattenuta calcolando i costi storici delle risorse umane e strumentali trasferite, ma entro un anno dovranno essere calcolate dai bisogni standard che nell’arco di cinque anni dovranno diventare il parametro definitivo delle risorse che ogni regione tratterrà a sé.
Detto semplicemente: più una regione è ricca più risorse avrà a disposizione dei suoi servizi ma non solo, visto che la variazione del gettito maturato nel territorio della regione grazie ai tributi compartecipati sarà di competenza della stessa regione; se Veneto e Lombardia hanno ottenuto più soldi del reale costo dei servizi, quei soldi rimarranno nelle loro disponibilità e non torneranno, come succede adesso, al governo centrale.
Veneto e Lombardia chiedono anche e soprattutto mano libera sul fisco, vogliono il pieno controllo delle tasse locali e la possibilità di decidere le aliquote; le due regioni pretendono inoltre di potersi separare da Roma per quanto concerne le regole sul pareggio di bilancio previsto dall’articolo 81 della Costituzione decidendo autonomamente il contributo da dare ai conti pubblici nazionali, sancendo così il definitivo distacco dal governo centrale e stabilendo una netta separazione con il resto delle regioni non virtuose che sono la maggioranza, creando così una discrepanza disastrosa e aumentando il divario tra le popolazione della stessa nazione.
di Sebastiano Lo Monaco