Amos Oz… definito l’ultimo dei “sionisti morali”
Il 28 dicembre è morto a 79 anni lo scrittore Amos Oz, l’incarnazione più nota del sionismo liberale, ampiamente venerato a livello internazionale come “il padrino dei pacifisti israeliani”. Celebrato e ricordato con una gran varietà di elogi non solo e non tanto per la sua attività letteraria, quanto come uomo politico, definito come il “morbido” sionista, o l’ultimo dei sionisti “morali”, il sionista “gentile”, il sionista “delicato”.
L’ultimo elogio è stato trasmesso dalla televisione di Stato italiana, dal programma pomeridiano Tuttifrutti di Rainews 24, domenica 6 gennaio, durante il quale l’omaggio di Abraham Yehoshua ad Amos Oz, ha posto l’accento sul coraggio di quest’ultimo, esempio per i giovani scrittori che hanno paura oggi di parlare: “Non abbiate paura di parlare”… “mi ha insegnato che cosa significa avere il coraggio di parlare, sull’occupazione dei territori e sul Grande Israele”… “ personalità irripetibile dal punto di vista del coraggio”.
Come è possibile parlare di sionismo morale, gentile, moderato in un uomo che non ha mai pronunciato una benchè minima parola di condanna contro il lento genocidio perpetrato ai danni del popolo palestinese, né sull’apartheid sul quale si fonda lo Stato di Israele? Amos Oz si è schierato contro l’occupazione, ma solo quella avvenuta dopo il 1967; eppure l’entità israeliana dal 1967 in poi si è macchiata di gravi crimini contro l’umanità. Anzi, quando 10 anni fa, l’operazione militare israeliana “Piombo Fuso” causò la morte di 1.800 palestinesi, di cui 410 bambini, più 5.300 feriti e 80mila sfollati, Amos Oz, con i suoi scritti, giustificò quell’operazione quale “azione tesa a migliorare la sicurezza degli israeliani”. Del resto, insieme a David Grossman e Abraham B. Yehoshua, Oz aveva anche appoggiato la guerra israeliana in Libano del 2006.
Quanto poi al fatto che Oz abbia usato molte energie per giustificare la Nakba, la pulizia etnica della Palestina, il suo uso di metafore non riesce a rendere ugualmente colpevoli le due parti in conflitto. I veri cattivi nella storia morale di Oz sono i palestinesi che avrebbero dovuto riconoscere il sionismo come un movimento di liberazione nazionale e accoglierlo a braccia aperte.
Durante l’attacco israeliano devastante sulla Striscia di Gaza nel 2014, Oz ha condiviso con i media internazionali gli argomenti del suo governo: “Cosa fareste se il vostro vicino di casa dall’altra parte della strada si installasse sulla terrazza, con il figlio piccolo in grembo e iniziasse a sparare con una mitragliatrice nella camera dei bambini?”.
E quanto al coraggio di cui domenica parlava Abraham Yehoshua, non ho potuto fare a meno di pensare a quanti palestinesi si trovavano in vari campi di concentramento e carceri ordinarie di Israele, mentre intellettuali ebrei, colombe sioniste, sempre invitati alle mostre del libro, sempre in viaggio, da un festival della cultura all’altro, autori di romanzi, saggi, film, appena sbarcano nella vecchia Europa, vengono devotamente intervistati da quanti si beano del loro progressismo. E loro parlano di pace, di comprensione di popoli, criticano perfino l’occupazione, vendendo libri esibendo film che sono puntualmente premiati.
I nomi sono famosi a livello internazionale: Amos Oz, David Grossman, Etgar Keret… I sionisti sono tutt’altro che stupidi. Il governo israeliano gestisce un istituto che si occupa di tradurre la letteratura ebraica cosiddetta di “sinistra” in lingue straniere. Un governo israeliano di destra che si impegna a tradurre e promuovere autori di “sinistra”. E si esporta così all’estero la falsa immagine di uno Stato ebraico desideroso di pace. E pochi sanno che essi stanno lavorando per lo Stato di Israele, obbligati sotto contratto a “contribuire a diffondere una buona immagine” di Sion.
Lo ha scoperto, a sue spese, un poeta israeliano, Ytzhak Laor, che ne ha scritto su Haaretz. “E’ importante capire”, scrive Laor, “che l’ambasciata e l’addetto culturale (israeliano) determinino il valore di ciascun artista e di quanto larga e favorevole audience ciascuno sia in grado di attrarre. Questo a sua volta determina il valore dell’hotel (in cui sarà ospitato), dei voli, e naturalmente dell’onorario artistico spettantegli”. Certamente Amos Oz scendeva invariabilmente in alberghi a cinque stelle.
di Cristina Amoroso