Dissidenti sotto la scure del regime saudita
Turki Bin Abdul Aziz Al-Jasser era un giornalista e scrittore dissidente saudita. Attraverso il suo account Twitter, sotto lo pseudonimo di Kashkool o @calouche_ar, rivelava violazioni dei diritti umani commessi da funzionari di alto livello e membri della famiglia reale del Golfo.
Le autorità saudite hanno scoperto la vera identità di Jasser dopo che una squadra di cyber-spie saudite si è infiltrata nel quartier generale di Twitter a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, come parte del cosiddetto “Saudi online army” (esercito online saudita) fondato da Saud al-Qahtani, il primo capo consigliere del principe ereditario Mohammed bin Salman. Sempre Qahtani, nell’agosto 2017, scrisse che i nomi falsi su Twitter non avrebbero protetto coloro che erano dietro gli account critici della famiglia reale saudita.
Detto, fatto. Turki Bin Abdul Aziz Al-Jasser è stato scoperto e arrestato nel Marzo di quest’anno e pochi giorni fa, l’organizzazione non governativa “Prisoners of Conscience” ha annunciato sulla loro pagina Twitter che anche questo giornalista ha perso la vita a causa delle brutali torture subite in carcere da parte delle autorità saudite.
Poco più di un mese fa aveva fatto il giro del mondo la notizia della misteriosa morte di un altro giornalista dissidente, Jamal Khashoggi, entrato nel consolato saudita ad Istanbul e mai più uscito. Anche lui catturato, torturato e ucciso. Sua moglie aveva diffuso la notizia scatenando lo scandalo tra i Paesi amici. Ormai sotto i riflettori internazionali, Riad ha ammesso che il giornalista è stato ucciso a causa di una “colluttazione” nel consolato saudita di Istanbul. 18 persone sono state arrestate e due figure chiave del Regno sollevate dai loro incarichi: l’uomo di punta dei servizi segreti e un consigliere particolare del principe ereditario Mohammed bin Salman. Adesso che i riflettori si sono spenti, i giornalisti possono continuare a morire in silenzio come prima.
di Irene Pastecchi