Sindacati per i militari, limiti e perplessità
E’ il 3 Ottobre quando la Ministra della Difesa Trenta annuncia con orgoglio che, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 120 del 13 Giugno 2018 che ha riconosciuto ai militari il diritto di costituire e prendere parte ai sindacati, ha dato indicazioni al gabinetto per emettere una circolare volta a riconoscere il diritto delle associazioni a costituirsi. Il tutto è avvenuto senza che l’opinione pubblica potesse riflettere su questo passaggio, come se si trattasse di una questione di un corpo solo dello Stato, quando invece abbraccia molte argomentazioni dato il paradosso di alcuni dati di fatto esistenti nella nostra società.
La prima domanda intanto è questa: il Movimento 5 Stelle non aveva un’opinione critica sui sindacati?
La vicenda nasce da un ricorso presentato al Tar del Lazio da un vicebrigadiere della Guardia di Finanza e dall’Associazione Solidarietà Diritto e Progresso (AS.SO.DI.PRO.) contro la nota con cui il Comando Generale della Guardia di Finanza aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere l’autorizzazione a costituire un’associazione a carattere sindacale e ad aderire ad altre associazioni del genere già esistenti. Dal Tar la questione è passata al Consiglio di Stato e infine è approdata alla Consulta grazie a precedenti sentenze del 2014 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Data la necessità di una norma ordinativa sul tema, la titolare del Dicastero ha affermato di aver fatto specificare nella circolare i criteri e i limiti per la costituzione delle organizzazioni eventuali, il loro potere e le modalità di riconoscimento; intanto, in attesa di una legge che disciplini la materia, alcuni punti cardinali sono chiari: i militari non possono aderire a organizzazioni già esistenti (Cgil; Cisl; Uil; etc.) , non costituite da militari stessi.
Il secondo interrogativo che viene a porsi a una persona comune che tutti i giorni vive la non sana realtà della precarietà, dell’assenza di contratti, del lavoro nero, dei licenziamenti, delle facili delocalizzazioni impunite, dei falsi fallimenti, delle cooperative, delle autocertificazioni antimafia, degli appalti e dei sub-appalti, della cassa integrazione, dei contratti a chiamata, a giornata, mensili, a termine, di solidarietà, a tempo determinato e a tempo indeterminato per finta è: ma la Ministra della Difesa è consapevole che da tempo e al giorno d’oggi i sindacati non difendono più alcun diritto se non quello di chi ha voluto trasformare il lavoro in un nuova schiavitù a stampo Ottocentesco? Ma la Trenta che è così felice di questa nuova epoca grandiosa che si apre per le forze armate, è a conoscenza del fatto che i lavoratori oggi sono ricattabili e vivono in un costante clima di sfruttamento anche perché i sindacati di concerto con chi “tira i fili” della politica economica nazionale ed Europea hanno accettato via via di sostituire il Contratto Nazionale col Contratto Aziendale?
Se l’Onorevole è convinta che attualmente, tra poltrone e spostamenti, cariche e conoscenze, i sindacati servano a qualcosa, buon per lei. Seguendo la non complicata logica del “se tanto mi dà tanto”, nelle Forze Armate probabilmente essi si porranno come difensori di privilegi dato che questa è una cosa che sembrano saper fare molto bene e visto che in tale comparto le agevolazioni e le facilitazioni non mancano. Da questo punto di vista il connubio è perfetto.
Il terzo fatto paradossale che balza agli occhi è che l’elogio di questa ventata di libertà e di diritti avviene in un comparto che è così dedito all’obbedienza per mestiere, per dovere e per credo, dove l’abitudine è eseguire ordini, che per un singolo il solo esprimere dissenso nei confronti di questo provvedimento risulta complicato: il disaccordo stesso per definizione e nei confronti di una carica più alta non è esattamente connaturato al proprio ruolo professionale e a questo ambito di lavoro. Viene da sé che si sta introducendo qualcosa di estraneo in un mondo che per ovvie ragioni è basato su regole precise.
Le Forze Armate sono uno strumento a servizio dello Stato, a difesa della Nazione e degli interessi nazionali, è chiaro dunque che in esse devono essere garantite la massima coesione interna e la più celere prontezza operativa. I sindacati concepiti come oggi sono al contrario un carrozzone e ostacolerebbero la velocità dei meccanismi della Difesa; apporterebbero la burocratizzazione delle situazioni.
E’ vero che le sigle già note non entreranno, ma certamente ogni modus operandi delinea un profilo politico, dunque s’imposterebbe comunque una politicizzazione degli affari militari e dei rapporti gerarchici. Ciò evidenzia quanto di sconcertante ci può essere in questa prassi perché i militari tutti devono servire ogni governo e non può esserci uno scontro politico nei rapporti formali tra di loro.
In alcuni enti militari dov’è presente un alto numero di personale civile, le rappresentanze sindacali ingessano i comandanti con mille vincoli e lunghe, interminabili riunioni e concertazioni, che a volte sfociano anche in contestazioni e in proclamazioni di “stati di agitazione”. Spesso e volentieri le classiche Cgil, Cisl, Uil spadroneggiano e bloccano prassi che dovrebbero essere celeri per definizione, congestionando anche i rapporti gerarchico-funzionali.
Poi, non si capisce bene cosa succederà agli organi della Rappresentanza Militare (Cobar, Coir, Cocer) istituiti con la legge sui principi della disciplina militare (legge 11 luglio 1978, n. 382). Il buon senso dovrebbe prevederne l’abrogazione ma non è detto che accada, quindi un comandante potrebbe a breve dover partecipare a riunioni sindacali dei militari, del personale civile e della rappresentanza militare (Cobar, Comitato di Base di Rappresentanza).
Forse sarebbe stato più opportuno consentire la nascita di patronati o di specializzarne alcuni già esistenti per pratiche assistenziali, previdenziali, sostegno alla famiglia, diritto allo studio, consulenza in materia d’istanze varie, difesa disciplinare e tutela legale, fiscale. Questo sì sarebbe stato necessario e lo si poteva comunque fare anche all’interno delle associazioni combattentistiche e d’arma, che invece così sembrano destinate ad un declino ancora più repentino di quanto non stia già accadendo.
Gli assertori della necessità dei sindacati per i militari potrebbero sostenere che tali organizzazioni migliorerebbero la trasparenza nell’avanzamento, nella selezione delle promozioni, per i trasferimenti e nella politica premiale (elogi, encomi, decorazioni); ma anche qui si apre un palese fallimento: nella Pubblica Amministrazione ci sono da sempre i sindacati, compresi quelli per i dirigenti e sappiamo bene che le cose non funzionano lo stesso come dovrebbero.
La sentenza della Corte Costituzionale deve essere rispettata, ma sarebbe stato più pratico interpretarla nel senso del potenziamento della rappresentanza e nella creazione di patronati specializzati. Infine, i sindacati per definizione (nella teoria e sui libri di storia, “per carità”) sono delle associazioni che difendono i diritti dei lavoratori; diritti dei militari? Conquiste del lavoro?
Termini che suonano male perché è opinione diffusa e giusta che chi sceglie la carriera militare mette in conto le condizioni specifiche e in certi casi anche i sacrifici di questa professione, altamente compensati però da un trattamento economico più elevato delle altre amministrazioni statali, più sicuro e realmente a tempo indeterminato rispetto a moltissime altre categorie di lavoratori, vitto e alloggio in caserma, un sistema di diritti ancora garantiti (anche se sempre meno) malattia e infermità, sostegno alle spese sanitarie, alloggi demaniali, circoli, strutture sportive, soggiorni estivi ed invernali per le vacanze, sostegno religioso e psicologico.
Per tutto questo, l’opinione pubblica un po’ “arrabbiata” e disoccupata difficilmente riuscirebbe ad associare l’idea originaria dei sindacati ai militari. Molto più facile invece è unire l’immagine delle rappresentanze dei lavoratori di oggi, ossia difensori dei privilegi, ai dipendenti delle Forze Armate.
Sorge un dubbio o più di uno: perché la Ministro Trenta ha deciso di percorrere questa strada con tanto orgoglio? Per una manciata di consensi elettorali a discapito della coesione dello strumento militare? Potrebbe essere, come una specie di fanciullesco tentativo di farsi accettare e apprezzare come amica.
di Ilaria Parpaglioni