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Morto Marchionne, il manager della discordia

Aveva 66 anni Sergio Marchionne, il super manager che salvò la Fiat dal fallimento nel 2004. A dare l’annuncio della sua morte una nota di Exor, controllante di Fca. Subito si registra un crollo del 15,5% del titolo in borsa. “Sarà un anno duro”, ha dichiarato il nuovo Ceo di Fca Mike Manley, confermando tuttavia gli obiettivi per il 2022.

elkann-marchionneEra stato scelto direttamente da Umberto Agnelli, che dal suo letto di morte lo indicò come l’uomo giusto per risollevare le sorti della casa automobilistica torinese e lo fa nel suo stile, taciturno e spietato, riuscendo nel 2009 a convincere l’allora presidente Usa, Barack Obama, ad affidargli ciò che rimaneva dell’ormai colosso automobilistico americano Chrysler oramai fallito.

Nasce Fca, che nel 2017 ha generato utili per 111 miliardi di euro. Una rivoluzione finanziaria ed imprenditoriale lunga 14 anni che ha fatto gridare al miracolo i molti che adesso ne piangono la dipartita, ma che ha fatto piangere di dolore molte famiglie di operai e lavoratori che non lo ricorderanno di certo con affetto.

Un padre padrone che ha gestito con pugno di ferro e spregiudicatezza il giro di affari della famiglia Agnelli, espandendolo ed elevandolo ad una dimensione internazionale. Ma del piglio aristocratico degli Agnelli, Sergio Marchionne non ne era rappresentante. A tutte le riunioni, i vertici, ai più alti livelli lui si presentava in maglioncino e camicia, con quell’aria da ragioniere serioso ed un po’ sovrappensiero.

Piaceva ai sindacati e agli operai che ne apprezzavano la costante e discreta presenza negli stabilimenti italiani, ma era un idillio destinato ad esaurirsi. Lo strappo definitivo nel 2010 all’epoca del referendum sull’accordo aziendale a Pomigliano d’Arco, quando la sua convinzione circa l’uniformità di contratto aziendale necessaria in un gruppo globale lo portò alla definitiva rottura con i sindacati, Fiom Cgil su tutti, e addirittura alla successiva uscita da Confindustria. Ragionava da manager globale e per questo consapevole che il segmento industriale italiano rappresentava appena un decimo della produzione del gruppo.

Se ne resero conto i sindacati, i politici e gli operai, specie quelli di Termini Imerese, protagonisti di un dramma che secondo loro Marchionne aveva i mezzi per evitare.

Ma il suo approccio era ormai proiettato in una prospettiva internazionale e poco incline, per sua stessa conformazione, a focalizzarsi sui focolai di crisi periferici. Vuole arrivare in alto, sempre di più. Gli ultimi anni li dedica alla sua sfida più grande: vuole una fusione con General Motors. Ma ne esce sconfitto, così come dalla lotta contro il tumore che se l’è portato via.

di Massimo Caruso

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