Iraq: chi soffia sul fuoco delle proteste?
Iraq – Nelle ultime settimane, violente manifestazioni hanno coinvolto diverse città del centro e del sud dell’Iraq, soprattutto Bassora. I manifestanti rivendicano un miglioramento dei livelli di benessere dei cittadini. Le calde giornate estive si sono rivelate problematiche, esponendo i cittadini iracheni a frequenti carenze di energia e acqua, aggiungendo così benzina sul fuoco già divampato delle difficili condizioni economiche. Queste carenze hanno innescato manifestazioni nella provincia di Bassora e poi diffuse in altre province nel centro del Paese.
La legittimità delle proteste dovrebbero portare il governo a fornire migliori servizi di base per consentire una vita più dignitosa ai cittadini del sud del Paese. Il fatto è che i cittadini iracheni sono stati vittime di sofferenze quotidiane durante il regime del dittatore Saddam Hussein, e quando è stato estromesso nel 2003 a seguito dell’invasione statunitense, gli iracheni speravano in un miglioramento delle condizioni di vita soprattutto per gli sciiti, da sempre repressi ed emarginati.
Iniziate come manifestazioni pacifiche si sono trasformate in pochi giorni in proteste violente, con infiltrazioni accertate da parte di provocatori. Alcuni servizi pubblici a Bassora, ad esempio, sono stati distrutti da alcuni presunti manifestanti violenti. A Babil, nella provincia dell’Iraq centrale, i manifestanti hanno attaccato due uffici, uno appartenente al partito al governo e l’altro al partito Fadillah nel quartiere di Al-Qassim, nel sud della provincia. Rispondendo alle violenze, il governo ha schierato le forze antisommossa nei punti caldi. Il Consiglio di sicurezza nazionale, un alto organo decisionale, ha annunciato che il governo intraprenderà azioni appropriate contro i rivoltosi.
L’esplosione della situazione ha sollevato alcune domande. Chi sta approfittando della violenza? E quali strade ha il governo per contenere la situazione?
Chi c’è dietro le proteste in Iraq?
Tra coloro che hanno fomentato e reso violente le proteste ci sono certamente i resti del disciolto Partito Baathista, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e gli Stati Uniti. Sin dalle prime scintille delle dimostrazioni, i resti del Partito Baathista hanno cercato di dirigerli contro l’Iran e danneggiare i servizi pubblici. La figlia di Saddam, Raghad Hussein, in un tweet diffuso dai media anti-iraniani ha invitato i manifestanti ad attaccare gli uffici dei partiti e delle fondazioni con stretti legami con Teheran. Questo conferma come i filo-baathisti, supportati finanziariamente da Paesi occidentali e dai loro alleati regionali, si sono infiltrati nelle proteste pacifiche e intendono condurre una rivolta contro il governo centrale.
Le emittenti televisive filo-occidentali come il canale Al-Arabiya dell’Arabia Saudita e Sky News degli Emirati Arabi Uniti hanno avviato una copertura parziale e distolta dei raduni, cercando di dipingerli come se avessero avuto un impatto maggiore sulla presenza iraniana in Iraq. A tal fine, hanno accentuato con entusiasmo slogan anti-iraniani da parte di mercenari assoldati che si perdono in un’enorme ondata di dimostranti che rivendicano legittimi diritti. Hanno anche cercato di mostrare l’Arabia Saudita come l’amico dei manifestanti e dello Stato iracheno.
A tal fine, hanno sottolineato un’offerta di Riyadh per aiutare Baghdad nella crisi dell’elettricità. I sauditi cercano di sfruttare le dimostrazioni per due scopi: rafforzare l’influenza in Iraq e nella regione dell’Asia occidentale nel suo insieme e concretizzare il loro sogno di spezzare l’alleanza strategica Teheran-Baghdad. Gli Emirati Arabi Uniti sono anche un giocatore in Iraq con obiettivi simili all’Arabia Saudita, principalmente diretti contro l’intricata influenza iraniana in Iraq.
Gli Stati Uniti sono un altro attore in Iraq che segue da vicino ciò che sta accadendo nel Paese arabo. Gli americani sono profondamente scontenti della recente vittoria dei partiti sciiti anti-americani alle elezioni parlamentari del 12 maggio. Per dirla chiaramente, gli americani si sono scoperti i grandi sconfitti nella feroce lotta per mantenere una presenza e un’influenza in Iraq. Quindi, qualsiasi problema per il governo giova ai loro malefici piani. Desiderano una massiccia stagnazione nella politica irachena, in modo da tentare un inserimento dei loro sostenitori nel corpo del governo.
Cosa può fare l’Iraq?
In un momento in cui il Paese è ancora una volta sotto le cospirazioni straniere e interne, i politici patriottici iracheni devono mobilitare le loro forze per combattere questa ennesima minaccia per l’intero Paese. Le difficoltà sono inevitabili. Ad esempio, lo stallo politico che ha seguito l’annuncio dei risultati del voto ha notevolmente ridotto la capacità del governo di affrontare con successo le proteste.
Finché le fazioni politiche non riescono a raggiungere un accordo globale che si riflette nella formazione del governo inclusivo, lo Stato difficilmente potrà superare le difficili condizioni attuali. Finora, i partiti vittoriosi hanno rifiutato di risolvere i loro problemi e così hanno costruito il terreno per la formazione di un nuovo governo. Questo sta alimentando un limbo politico che ritarda a dare risposte alle giuste richieste dei cittadini.
La soluzione finale, quindi, sta nel formare un governo onnicomprensivo. Un nuovo governo con una forte volontà e un programma chiaro per fornire servizi e risolvere i problemi. Ci si aspetta che si mettano da parte interessi personali e di partito e si indirizzi l’attenzione verso gli interessi pubblici e nazionali.
di Giovanni Sorbello