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Israele e Palestina, 54 anni di occupazione

Sono passati 54 anni dal 1967, da quella guerra dei sei giorni che ha drasticamente segnato le sorti del conflitto tra Israele e Palestina, creando sul campo uno status quo di occupazione militare che dura ancora oggi. La realtà di oggi vede due parti contrapposte, una occupante e l’altra occupata. Vede una strenua resistenza da parte di un popolo che per decenni è stato privato di libertà, dignità e diritti. Nessuna delle due parti è disposta a fare quelle concessioni necessarie. I negoziati di pace partono sempre da una situazione di squilibrio, gli israeliani si siedono al tavolo delle trattative dalla parte di chi è stato in grado di lavorare alla costruzione di una democrazia, seppur zoppicante. I palestinesi non partono dalla stessa prospettiva. Loro sono gli occupati, quelli che non hanno più niente da perdere perché in cinquant’anni di occupazione hanno perso quasi tutto.

Le possibili soluzioni, stato unico binazionale o due stati separati, risultano al momento entrambe impraticabili a causa dell’aggressiva politica di colonizzazione effettuata da Israele nei territori palestinesi. La maggior parte dei cittadini israeliani è sostanzialmente ostile alla soluzione dello stato unico binazionale. La maggior parte dei palestinesi si oppone alla creazione di due stati separati, dato che quello palestinese sarebbe uno stato senza continuità territoriale, nonostante questa prospettiva sia contemplata nella proposta di pace araba (Arab Peace Initiative).

É abbastanza ovvio che una trattativa tra due parti con poteri così differenti sia destinata a fallire, per questa ragione i negoziati di pace tra Israele e Palestina non possono prescindere da un appoggio internazionale.

Il ruolo della comunità internazionale nel conflitto tra Israele e Palestina

È tempo che la comunità internazionale si assuma la propria responsabilità in questo intricato conflitto. Il ruolo di stati come Regno Unito, Francia e Stati Uniti è stato fondamentale per la nascita di Israele nel 1948 ed è ora che questi stessi stati, insieme alla comunità internazionale, agiscano per salvare Israele da se stesso e dall’occupazione che plasma le menti dei suoi cittadini. Con l’ascesa al potere dell’ex presidente Usa Donal Trump, storico alleato di Israele, gli equilibri sono cambiati. La politica di Trump è stata già nei suoi esordi più rozza e diretta rispetto a quella dei suoi predecessori.

Lo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, capitale contesa, potrebbe alterare l’andamento del processo di pace. Processo che per il momento rimane un obiettivo lontano che non ha né trova effettivi riscontri nei cittadini e nelle due società, divise da un insormontabile muro di crimini e reciproche incomprensioni.

di Irene Masala

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