Sud Sudan sull’orlo di un genocidio
Il Sud Sudan è la Nazione più giovane del mondo, ma rischia seriamente di morire a breve. È nato nel 2011, staccandosi dal Sudan dopo due lunghissime guerre civile che hanno causato almeno 2,5 milioni di morti, sofferenze immani e la devastazione di vastissime zone del Paese, ma fin dall’inizio ha portato con sé i germi della sua dissoluzione.
Le radici di quelle guerre civili, come la stragrande maggioranza delle altre che hanno insanguinato l’Africa, sta nel passato coloniale il cui crollo ha lasciato Stati sulla carta, mettendo insieme popolazioni che nulla avevano in comune.
Per 64 anni il Nord, diverso per culture, religione ed etnie, ha dominato brutalmente il Sud, ma quando è giunta finalmente l’indipendenza, i nodi sono giunti al pettine. Ingerenze straniere attirate dalle tante ricchezze del territorio (per tutte basti dire che l’80% delle riserve petrolifere del vecchio Stato unitario, con l’indipendenza sono andate al Sud Sudan), totale mancanza d’infrastrutture, profonde divisioni tribali esacerbate dalla lotta per aggiudicarsi i proventi (e soprattutto le colossali mazzette) derivanti dallo sfruttamento delle risorse, rendono il Paese uno dei più poveri al mondo. E uno dei più instabili.
E tutto questo, malgrado gli ingenti aiuti economici ricevuti dal Sud Sudan da numerosi (e interessati) sponsor internazionali come Usa e Ue, dilapidati o finiti nelle tasche delle varie cricche di potere.
Nel dicembre del 2013 è scoppiata una nuova guerra civile, conclusasi nominalmente nell’agosto del 2015 lasciandosi dietro almeno 300mila morti. A combatterla sono stati da un canto il presidente Salva Kiir e la sua etnia dinka, che intende imporre la propria egemonia sull’intero Sud Sudan, e dall’altro i vari gruppi armati delle altre etnie, principalmente la nuer, guidata dall’ex vice presidente Riek Machar.
Da allora, fra accuse incrociate (ed interventi più o meno velati di potenze straniere) le violenze non si sono fermate; oltre un terzo della popolazione è alla fame e chi ci riesce fugge da un Paese divenuto un mattatoio lontano dagli interessi mediatici (quelli economici ci sono, eccome) del mondo.
A luglio nuove violenze sono scoppiate a Juba, la capitale, e da allora è stata un’escalation che ha fatto dichiarare al segretario dell’Onu Ban Ki-moon che il Sud Sudan è in una situazione di pre-genocidio. Adesso, con l’arrivo della stagione secca, Salva Kiir e i suoi dinka vogliono chiudere i conti con Riek Machar (in esilio in Sudafrica) e i suoi nuer appoggiati da molte altre etnie minoritarie.
In pratica il Sud Sudan si trova a un bivio fra lo strapotere dell’etnia dinka su tutte le altre o la polverizzazione di uno Stato che non ha potuto farsi Nazione. In entrambi i casi sarà un disastro sanguinoso che travolgerà il Paese e la sua popolazione.
In questa catastrofica situazione, spicca la consueta inettitudine dell’Onu, presente con la solita missione inconcludente – la Unmiss – e incapace d’imporre almeno un embargo delle armi, che continuano ad entrare tranquillamente.
di Salvo Ardizzone