Rifugiati somali costretti al rimpatrio
Il rimpatrio dei rifugiati somali da Dadaab non è più volontario, dignitoso, sicuro e non è riuscito a soddisfare gli standard internazionali, secondo il rapporto del Consiglio norvegese per i rifugiati con sede ad Oslo (Nrc). I rifugiati si sentono intrappolati in seguito alla decisione del governo del Kenya di chiudere i campi entro la fine di novembre. Il documento di otto pagine si intitola: “Promessa non mantenuta di Dadaab, un appello a ripristinare rimpatri volontari, sicuri e dignitosi per la comunità dei rifugiati di Dadaab”. L’improvviso annuncio di chiudere i campi ha portato i rifugiati vulnerabili a ritorni caotici e disorganizzati nel loro Paese impoverito e conflittuale.
Già il 6 maggio scorso, il Kenya aveva annunciato la sua decisione di chiudere il campo entro il 30 novembre di quest’anno, per l’eccessivo onere economico e perché “terreno fertile” per il terrorismo. L’annuncio era stato però seguito da una posizione più morbida del Governo di Nairobi. Il ministro dell’Interno Giuseppe Nkaissery, il 21 agosto aveva annunciato che il governo non approvava la sua decisione di chiudere il campo, almeno fino a quando la pace in Somalia non fosse stata ripristinata, e che, mentre il lavoro di verifica dei rifugiati si completava, il processo di rimpatrio avrebbe richiesto più tempo necessario data la situazione della sicurezza nella vicina Somalia.
Il campo profughi di Dadaab, il più grande sito di profughi nel mondo, qui ospita più di 300mila somali, e per più di 20 anni è stata la patria di generazioni di somali che hanno abbandonato la loro patria devastata da conflitti.
“La pressione per spingere più di 280mila rifugiati registrati dal campo di Dadaab ha portato ad una situazione caotica”, ha affermato il segretario generale della Nrc, Jan Egeland, aggiungendo che il 74 per cento dei rifugiati di Dadaab in agosto non mostravano alcuna volontà di tornare in Somalia, in gran parte a causa della paura di insicurezza.
“Il programma di rimpatrio attuale non soddisfa gli standard internazionali per il rientro volontario dei rifugiati”. Secondo il rapporto, donne e bambini hanno viaggiato senza parenti maschi, mentre i bambini orfani che vivono con famiglie allargate sono stati separati da parenti e sono tornati da soli. I rifugiati hanno anche riferito di avere la richiesta di pagare tangenti per accedere ai servizi di rimpatrio, dice il rapporto.
Egeland ha osservato che i rifugiati hanno bisogno di protezione internazionale. “Il governo del Kenya e l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite dovrebbero permettere di ripristinare il processo organizzato e volontario di ritorno nel quadro dell’accordo tripartito”.
A parte la costrizione di rimpatriare, i rifugiati – secondo il rapporto – si trovano a dovere affrontare anche l’insicurezza nel ritorno a casa, dove la violenza e l’inadeguatezza dei servizi di base sono dilaganti. Il numero dei somali vulnerabili in programma per il ritorno supera di gran lunga le risorse disponibili per sostenerli in Somalia.
I rifugiati somali stanno tornando in un Paese che ha già oltre un milione di persone sradicate dalle loro case, dove cinque milioni non hanno abbastanza cibo. Un Paese che dal 2006 è stato teatro di scontri mortali tra le forze governative e i mercenari di al-Shabab. Il gruppo è stato spinto fuori della capitale Mogadiscio, e da altre grandi città da parte delle truppe governative e dell’Unione Africana, ma continua a compiere attentati nelle città.
L’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) è stata criticata da gruppi per i diritti umani per avere dato supporto al ritorno involontario di rifugiati somali. Il mese scorso Human Rights Watch (Hrw) ha riferito che il rimpatrio è stato “alimentato da paura e disinformazione”. Il ritorno di rifugiati in un luogo dove la vita o la libertà sono a rischio è illegale ai sensi della Convenzione sui rifugiati del 1951.
di Cristina Amoroso