Imperialismo Usa e crisi del sistema militare
Il sistema di dominio instaurato dall’imperialismo Usa si basa essenzialmente su tre poteri: quello della finanza, che attraverso il dollaro dissangua le economie del mondo per mantenersi; quello dei media, che rappresentano la realtà secondo le esigenze di Washington (celebre il detto: “Se non è apparso sulla Cnn non è accaduto”); quello della forza, che attraverso un’asserita superiorità tecnologico-militare, e una cinica volontà di usarla per conseguire i propri scopi anche se manifestamente ingiusti (leggi: criminali), minaccia chiunque voglia opporsi al predominio Usa.
È un sistema che ha permesso ai centri di potere che regnano fra Washington e Wall Street di spadroneggiare sul mondo più o meno indisturbati, realizzando utili incalcolabili. Tuttavia è un sistema tutt’altro che perfetto, perché basato non su principi di qualsiasi sorta ma sull’esclusiva base del profitto immediato, realizzato con la massima rapacità.
I limiti sono stati evidenti nella crisi della finanza che ha minacciato di travolgere l’economia globale, e le cui conseguenze sono tutt’altro che superate. Una crisi, beninteso, che il sistema finanziario Usa ha scaricato sul resto del mondo tramite lo strapotere del dollaro, facendosi finanziare il suo enorme debito.
Ma se le storture del sistema finanziario dello Zio Sam sono finite sotto i riflettori grazie ai suoi disastri, sono assai meno pubblicizzate quelle che stanno permettendo al blocco industriale-militare di dilapidare somme immense, mettendo a grave rischio quell’asserita superiorità che dovrebbe permettere a Washington d’imporre la sua legge ovunque, e d’altra parte la pace e la sicurezza globali.
Intendiamoci: dal Vietnam in poi lo Zio Sam ha ricevute molte dolorose lezioni, ma non è mai stata messa in discussione la sua superiorità militare; la stessa Urss, ai tempi della sua massima potenza, è andata in rovina nel tentativo di reggere il confronto.
Da anni, però, le cose sono cambiate: lo strumento militare, invece che mezzo per garantire il predominio Usa, è divenuto esso stesso occasione di colossali arricchimenti. Lo si è visto con le guerre di Bush, quando l’esternalizzazione dei servizi per i contingenti all’estero, e tutte le attività collegate con i loro costi stupefacenti, è servita a far realizzare utili immensi alle aziende collegate col Pentagono. Ma ormai è lo stesso blocco industriale-militare che ha imparato a drenare una valanga di denaro dalla stessa Amministrazione americana, al di là d’ogni logica e d’ogni scelta di tipo strategico, anzi, finendo per piegarle ai propri fini.
Il discorso per spiegarlo sarebbe troppo lungo e tecnico, diremo però che con la scusa della rincorsa più esasperata alla tecnologia, vengono giustificati i programmi più disparati (che magari finiscono in un nulla di fatto dopo aver divorato una montagna di miliardi), salvo mantenersi legati a tecnologie assolutamente obsolete quando non v’è l’interesse di qualche lobby a spingere.
L’esempio del Jsf (l’F-35 per intenderci) è d’obbligo: un programma costosissimo che sta divorando e che divorerà le risorse dell’Air Force Usa, nato spacciando l’illusione d’essere l’arma assoluta, e che, se e quando sarà finalmente pronto, manterrà ben poche delle promesse fatte, riuscendo solo ad essere un costosissimo “specialista”. Nel frattempo, tutti gli altri programmi sono stati sacrificati per esso, rendendo la futura superiorità aerea globale dello Zio Sam quanto meno aleatoria.
Ma ciò che lascia stupefatti, è l’incredibile leggerezza con cui viene trattata la sicurezza del pianeta; ci riferiamo al fatto che l’intero arsenale nucleare Usa, comprese le procedure d’impiego e la sua messa in sicurezza, è gestito da tecnologie degli anni ’70; in pratica viaggia a forza di floppy-disk. Quanto questo renda instabile e insicuro l’intero sistema (e il mondo con esso) è facile immaginarlo.
E c’è di più: la Missile Defence Agency (Mda) è l’Agenzia federale che dovrebbe garantire la sicurezza degli Stati Uniti da un attacco missilistico; questa viene, o meglio, dovrebbe, essere assicurata dal sistema Gdm, un complesso organismo che comprende sensori, radar, satelliti e missili intercettori. Ebbene, malgrado gli Usa strombazzino la loro sicurezza, e pur avendo speso per quel sistema 123 Mld dal 1999 (ed altri 38 sono in programma fino al 2020), delle 17 prove d’intercettazione fin’ora eseguite solo 9 hanno avuto successo.
Inoltre, a fronte dei massicci stanziamenti, l’organismo non solo ha dichiarato di non poter né far fronte agli impegni, né portare gli intercettori al numero richiesto (44), ma ha invocato fondi esorbitanti.
Il motivo è che, fra incrementi esponenziali dei costi delle tecnologie già conosciute (che strano: non dovrebbero diminuire?) e programmi su armi fantascientifiche tipo droni con armi laser e così via, non ci sono miliardi che bastano a soddisfare le richieste. Un andazzo che ha finito per suscitare le ire del Gao, un ufficio governativo simile alla Corte dei Conti, che addebita il sistematico sforamento dei budget eufemisticamente a cattiva gestione e investimenti sbagliati, esortando una buona volta a disboscare la selva di programmi fantasiosi e concentrarsi su una vera innovazione. Facile a dirsi, con le lobby industriali scatenate in cerca di finanziamenti.
Il risultato di questa incredibile situazione, è uno strumento militare sempre più precario e inadeguato agli scopi che si propone. Certamente potremmo essere solo contenti dello scadere della pretesa superiorità Usa, se non fosse che, per giustificare ulteriori stanziamenti a fronte di una situazione sempre più deficitaria, il blocco industriale-militare sta premendo per alzare le tensioni in ogni area di crisi: Estremo Oriente, Est Europa, etc, col rischio sempre più concreto di scatenare un conflitto vero. Un rischio troppe volte avveratosi.
È tipico dell’imperialismo superare i confronti scatenando un’aggressione; adesso, però, accanto alla logica perversa del sistema, c’è quella di un intero apparato che preme per una crisi violenta che apra i cordoni della borsa senza limiti. Della pace e della sicurezza del mondo, a chi importa?
di Salvo Ardizzone