Venezuela. Maduro: ok al referendum tra verifica di firme raccolte e guarimbas
Il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, nel suo discorso radiofonico settimanale di martedì, si è detto pronto ad autorizzare un referendum sulla revoca del suo incarico a condizione che le firme raccolte dall’opposizione siano riconosciute valide dalle autorità elettorali. Nella giornata di mercoledì è iniziata la verifica delle firme raccolte per avviare la procedura.
Era stato chiaro il leader dell’opposizione, Leopoldo Lopez, in previsione delle elezioni legislative del 6 dicembre 2015, a dichiarare che l’opposizione venezuelana avrebbe puntato a far cadere il presidente entro la metà del 2016. “Non possiamo aspettare fino alle presidenziali del 2019”, aveva detto Lopez in un messaggio scritto in cella e postato su Twitter dalla moglie. “Il cambiamento politico ha una data in Venezuela e questa data è la prima metà del 2016”, aveva precisato, aggiungendo: “Se Maduro non si dimette, il mio partito punterà a rimuoverlo tramite referendum o attraverso una riforma della costituzione”. La legge venezuelana prevede infatti che i funzionari eletti possano essere rimossi attraverso referendum da indire quando sono a metà mandato.
Ad aprile Maduro era a metà mandato e subito è partita la raccolta delle firme necessarie per la prima fase della procedura che prevede la convalida di 196mila firme da parte del Consiglio Nazionale elettorale. La seconda fase del processo di revoca del mandato prevede la raccolta di quattro milioni di firme convalidate, pari al 20% dell’elettorato. Lunedì scorso la coalizione di centro-destra del Venezuela (Mud), opposta al partito di governo(Psuv) ha presentato la petizione ai funzionari elettorali con 1,85 milione di firme.
Dopo sedici anni di dominio incontrastato il governo socialista il 6 dicembre scorso ha registrato una pesantissima sconfitta elettorale alle elezioni legislative, facendo aggiudicare all’opposizione di centrodestra 99 dei 167 seggi parlamentari, tra cori di giubilo per la fine del chavismo, uniti alla bolza retorica neoliberista che inneggiava alla “fine della dittatura”, all’avvento del mercato libero, alla libertà, come se la libertà umana coincidesse con la libertà dei mercati e delle merci.
Da parte sua l’opposizione non si è limitata alla raccolta di firme, ma a distanza di due anni dalle tristemente note “garimbas”, il loro spettro è stato paventato da Freddy Guevara, esponente del partito di Leopoldo Lopez, condannato per i fatti violenti del 2014 che causarono la morte di 43 persone. “Ci attiveremo nelle strade”, ha dichiarato l’esponente di Voluntad Popular da Plaza Brión de Chacaíto, a Caracas, la stessa piazza da dove il 2 febbraio del 2014, Leopoldo López, incitava al rovesciamento del legittimo governo guidato dal presidente Nicolás Maduro, attraverso azioni di strada.
Alla nuova tappa dell’agenda golpista in Venezuela fa riscontro una crisi economica che si aggrava sempre di più. L’ultima misura di risparmio del potere esecutivo è un forte segno della situazione del Paese: lo Stato non è più in grado di garantire il lavoro quotidiano e chiude le sue funzioni amministrative. Lo stesso vale per la fornitura di cibo e medicine. Nel frattempo segue il lungo disagio per ottenere il farmaco in un tour sterile, di stabilimenti che rimangono vuoti. E il razionamento nella fornitura di energia elettrica e di acqua è diventato un male endemico. Il vicepresidente Aristobulo Isturiz ha dichiarato: “Non ci sarà più lavoro per il settore pubblico nei giorni di mercoledì, giovedì e venerdì, eccetto in caso di compiti fondamentali e necessari”. Lo ha detto durante una visita al complesso idroelettrico di El Guri, nello stato di Bolivar, che genera il 70% dell’energia del Venezuela e il cui serbatoio è a livelli critici a causa della siccità provocata da El Nino. Anche le scuole, dall’infanzia alle superiore, rimarranno chiuse il venerdì. Il Venezuela sta per varcare la soglia che conduce all’emergenza umanitaria.
“La rivoluzione bolivariano-Chavista è nel momento di maggior pericolo dalla morte del presidente Hugo Chavez”, lo sostiene l’antropologo di sinistra Gilberto Lopez y Rivas. Infatti, l’ordine esecutivo di recente approvato da Barack Obama di dichiarare la Repubblica Bolivariana del Venezuela come una minaccia inusuale e straordinaria alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati Uniti, non solo costituisce una chiara violazione nel quadro giuridico internazionale dei principi di non-interferenza nella uguaglianza interna e sovrana degli Stati, ma in realtà, sostiene apertamente le azioni destabilizzanti della destra venezuelana che mira a rovesciare con ogni mezzo il governo costituzionale di Nicolas Maduro.
Il governo bolivariano dalla sua recente sconfitta elettorale ha ascoltato proposte, critiche e voci di settori politicizzati di sinistre venezuelani ed internazionali. Ne è nata la progettazione e promozione di un progetto che mira a rivitalizzare e ripristinare la forza rivoluzionaria che risponda con profondità popolare alle sfide di questa grave situazione di guerra e di boicottaggio interna ed esterna economica e politica (essenzialmente guidata dal governo imperialista di Obama e delle borghesie alleate), incentrata sulla carenza di materie prime, sul crollo dei prezzi internazionali del petrolio e di altre materie prime, sull’inflazione dilagante di oltre 200 %, sull’insicurezza e violenza che si manifesta in linciaggi, aggressioni e rapimenti, diminuzione dei salari e del tenore di vita e enorme svalutazione della moneta nazionale, il bolivar.
Tutto questo è stato sicuramente fondamentale per la delusione, la perdita di fiducia e di legittimità in gran parte della gente, soprattutto nei meno politicizzati e vulnerabili in questa guerra economica, politica e certamente ideologica e propagandistica.