Russia e Cina fanno squadra contro l’Isis: nuovo paradigma geopolitico?
Mentre la battaglia contro i militanti dell’Isis continua in Medio Oriente e le forze irachene riprendono il pieno controllo della città di Ramadi, un nuovo paradigma geopolitico è in preparazione.
Il Cremlino ha infatti annunciato che la Cina si prepara ad inviare cinquemila soldati delle forze miliari d’elites nella zona di guerra per aiutare la Russia nella lotta contro l’Isis. L’invio delle forze speciali della “Siberian Tiger”e della “Night Tiger” è stato autorizzato dall’Assemblea Nazionale del Popolo, dopo l’approvazione della prima legge antiterrorismo che permette all’esercito di prendere parte in missioni antiterrorismo all’estero.
Ciò consentirebbe alla Cina di assumere un ruolo di primo piano nella violenza terroristica Medio Orientale allorché il “Paese in questione” nel ricevere queste truppe si impegnasse per la sua presenza, mettendo la Cina in condizioni di parità con la Russia, l’Iran e gli Stati Uniti.
Se n’era avuto il sentore già a novembre scorso quando, parlando della crisi siriana il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, in occasione della sessione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a New York aveva dichiarato: “Il mondo non può permettersi di stare a guardare con le braccia conserte, ma non deve neppure interferire arbitrariamente”, aggiungendo che le nazioni dovrebbero stare uniti contro “l’ideologia estremista violenta”.
Già i media russi, citando Igor Morozof, un membro del comitato della Federazione russa per gli Affari Internazionali, aveva confermato che la portaerei cinesi, la Lianoning, e un incrociatore si stavano dirigendo nella zona, e che consiglieri militari cinesi erano già nella regione.
Anche i media cinesi stanno promuovendo per il Paese comunista un ruolo più importante per risolvere la guerra in Siria, in una colonna il Quotidiano del Popolo cinese suggerisce di “sfruttare il consenso di base raggiunto dalla comunità internazionale secondo cui la crisi siriana debba essere risolta politicamente. La Cina è disposta a svolgere un ruolo costruttivo nel promuovere una soluzione politica per la crisi siriana, senza però dimenticare l’impegno alle sue responsabilità come una grande potenza”, in altre parole senza trascurare il suo posizionamento nella strategia globale.
Rimane il fatto che la Cina, alleata di Assad, ha presumibilmente più di 30 miliardi di dollari di commesse per la ricostruzione post-bellica in Siria, come ha dichiarato Imad Moustapha, ora ambasciatore della Siria in Cina ed amico di Assad e conosciuto come attendibile. Così riferisce in una lunga relazione il giornalista militare vincitore del Premio Pulitzer, Seymour Myron Hersh.
Anche la Cina è preoccupata per lo Stato Islamico, considera la crisi siriana da tre punti di vista: diritto internazionale e la legittimità; posizionamento strategico globale; e le attività dei uiguri, della provincia dello Xinjiang in Cina occidentale.
Lo Xinjiang confina con otto nazioni – Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan e India – e, secondo la Cina, serve come un imbuto per il terrorismo in tutto il mondo e in Cina. Molti combattenti Uighur ora si trovano in Siria, noti per essere membri del Movimento islamico del Turkestan orientale – una organizzazione separatista spesso violenta che cerca di stabilire uno “Stato islamico” nello Xinjiang.
Gli uiguri hanno ricevuto armi sofisticate, le stesse che lo Stato Islamico ha ricevuto in Iraq, e in molti hanno già aderito alle milizie del califfato. Se il numero dei terroristi uiguri tra le fila dell’Isis e di al-Nusra dovesse aumentare, lo Xinjiang potrebbe diventare il prossimo Afghanistan. L’attentato dello scorso anno a Bangkok è stato attribuito dagli investigatori proprio a terroristi collegati con militanti uighuri.
La Cina è stata ulteriormente irritata dagli insorti dell’Isis che hanno rilasciato il mese scorso le foto di un presunto cittadino cinese recentemente scomparso nella regione, del quale chiedevano un riscatto; inoltre l’Isis ha parlato del suo desiderio di aumentare la propria presenza in Cina, come un documento del gruppo ha rivelato che il Paese è nella lista delle nazioni che vuole colpire entro il 2020.
La Cina, che ha a lungo mantenuto una politica di non ingerenza negli affari interni degli altri Stati, ora oltre le minacce, sta ricevendo contraccolpi anche sulla sua economia, includendo ad esempio la China National Petroleum Corporation costretta ad abbandonare i suoi giacimenti di petrolio in Siria e soffrirebbe pesantemente sotto il profilo finanziario se quelli in Iraq cadessero nelle mani dell’Isis.
Aldilà delle previsioni possibili, e auspicabili per qualcuno, la Cina potrebbe aver perso la pazienza per la follia di Washington in Medio Oriente e così avrebbe deciso che l’unico modo per garantire le future forniture di petrolio dipenda dalle truppe di stanza nella regione – in questo caso l’esperienza di combattimento dei cinquemila soldati scelti sarebbe un bel colpo contro Washington, segnando la fine assoluta dell’egemonia miliare in tutto il mondo.