I sogni infranti dell’Occidente e del suo servo “sultano”
A pochi giorni dall’abbattimento del Su-24 russo la tensione fra Russia e Turchia rimane altissima, mentre si delineano sempre più chiare le motivazioni che hanno spinto Erdogan.
Intanto i fatti: l’aereo, se pur l’ha realmente fatto, ha sorvolato per 17 secondi un’enclave turca nel suo volo di ritorno alla base di Hmeymen; in questi casi, come tante volte ai tempi della Guerra Fredda e ai giorni nostri sul Baltico, i caccia s’affiancano all’”intruso” e lo scortano fuori dallo spazio aereo. Abbatterlo nel giro di pochi secondi sostenendo che si trattava di un aereo sconosciuto e potenzialmente pericoloso è una menzogna che vuole giustificare un attacco deliberato.
La realtà è che in questa crisi si delineano le faglie che separano gli interessi in ballo in Medio Oriente. Erdogan ha dinanzi agli occhi il naufragio del suo disegno strategico: la disintegrazione di Siria ed Iraq e l’allargamento della sua influenza su quelle aree. Vede con rabbia il crescente intervento russo e l’ampliarsi dell’influenza iraniana, che stanno distruggendo quei “ribelli” e Daesh attraverso cui voleva realizzare il suo scopo; al contempo, constata con preoccupazione l’avvicinamento dell’Occidente a Mosca in nome della lotta al Terrore.
L’ultimo segnale l’ha avuto al G20 di Antalya, quando la sua proposta di una “no fly zone” sui cieli siriani è stata rigettata anche da Obama. Vedendo crollare il suo disegno ha voluto rilanciare, con l’appoggio di Arabia Saudita e Qatar e la tacita benedizione di Usa e Israele.
Il suo obiettivo è frenare l’attivismo russo innalzando la tensione e tentando di coinvolgere strumentalmente la Nato. In questo modo pensa di bloccare la convergenza fra Russia e i tanti Paesi toccati dal Terrorismo (vedi Francia). La tesi ufficiale, sostenuta stucchevolmente a botta calda da Obama, è che l’Isis va distrutto (a parole) con l’azione della coalizione internazionale a guida Usa (che s’è guardata bene dal contrastarlo); la Russia deve entrare in essa cessando di attaccare i “ribelli” (cioè Al-Qaeda e i suoi alleati) e di sostenere l’alleato siriano.
La verità è che i posizionamenti ufficiali, anche in ambito Nato, non significano più nulla; contano piuttosto gli interessi dei singoli Stati che si stanno riposizionando. A tutti è evidente che la Turchia è interessata a combattere i curdi non certo l’Isis, come pure è evidente che in Siria e in Iraq sono due blocchi che si stanno confrontando in una proxy war che ha in palio il controllo della regione. I vari Paesi s’avvicinano all’uno o all’altro in funzione della convenienza.
Un Hollande, dovendo dare risposta alle stragi di Parigi alla vigilia di elezioni assai delicate, ha bisogno di una solida sponda nella guerra che vuole dimostrare di condurre contro i terroristi. E l’unica è disposto a dargliela Putin, lo stesso demonizzato per la crisi ucraina ed ora sdoganato dalla sua lotta senza quartiere contro il Terrore.
E il capo del Cremlino ha offerto la più ampia collaborazione, come ha dichiarato nella conferenza congiunta al termine dell’incontro avuto a Mosca con il Presidente francese, ma ha anche chiarito altre cose: “Chi usa doppi standard col terrorismo ed è coinvolto in attività criminali con l’Isis sta giocando col fuoco”, ha dichiarato alludendo chiaramente ai traffici di Ankara; e ancora, ha tenuto a precisare che ”il destino di Assad è nelle mani del popolo siriano”. Infine, ha dichiarato che “la cooperazione con la Francia è un passo verso la creazione di una coalizione internazionale contro l’Isis”, col sottinteso che quella ufficialmente in essere a guida Usa in pratica non esiste.
È in queste manifeste contraddizioni, che non riguardano solo la Francia, che si vuole incuneare Erdogan per fermare la Russia e tentare di salvare i suoi progetti. Ma è ormai tardi, e il prezzo che è chiamato a pagare immensamente alto.
Putin, che è stato sfidato dinanzi al mondo, continua a rimanere gelido e con la consueta rapidità sta mettendo in campo le contromisure di tipo economico e militare. Sul piano economico le ritorsioni sono già in atto: a parte la fine della partnership speciale e dei tanti enormi progetti comuni (Turkish Stream in testa e poi costruzione di centrali nucleari e così via), sta prendendo il via il blocco del turismo russo e delle importazioni di derrate alimentari, misure che pesano parecchio per un’economia turca traballante; a sostituire la Turchia si profila già l’Iran, sia per i prodotti agricoli che per il turismo.
Sul piano militare e politico, per molti versi l’abbattimento del Su-24 è stato un regalo ai russi, ha dato loro la motivazione di calare una cortina sui cieli siriani: schierando gli S-300 e a breve gli S-400, sigillano quello spazio aereo con i sistemi antiaerei giudicati i più letali al mondo. A completare, stanno schierando reparti di intercettori e sistemi avanzati di contromisure elettroniche capaci di accecare aerei radar e satelliti ad orbita bassa.
Ciò significa che, piaccia o no, chiunque voglia volare sulla Siria, appartenga o meno alla coalizione a trazione Usa, d’ora in poi potrà farlo solo col permesso di Putin, pena essere ridotto in briciole. Al contempo, la barbara uccisione del pilota da parte dei miliziani turcomanni alleati di Ankara, ha scatenato su di loro una tempesta di fuoco definita senza precedenti. Una pressione destinata a crescere nei prossimi giorni su tutti i cosiddetti “ribelli”.
Ma c’è un’altra carta che Putin potrà giocare: armare i miliziani dell’Ypg e del Pkk; una carta che potrebbe rivelarsi disastrosa per il “Sultano” e rimescolare ancora la complicata mappa delle alleanze in quell’angolo di mondo, legando a Mosca quelle che Washington considera le sue uniche possibili pedine.
Col suo avventurismo Erdogan ha messo da parte ogni simulacro di finzione, schierandosi apertamente coi terroristi e contro chi li combatte, in nome del suo progetto di espansione sulle terre siriane ed irachene. Nei confronti dell’Europa si sente forte per il ricatto che esercita tramite le folle di migranti che spinge verso la Ue. Ma Bruxelles è un ectoplasma e i singoli Stati s’apprestano a chiudere le frontiere in nome della sicurezza. È difficile che concedano al “Sultano” qualcosa in più di qualche miliardo (ammesso che lo diano) e qualche generica rassicurazione.
Di azzardo in azzardo, Erdogan sta spingendo il suo Paese in una disastrosa via senza sbocco; i suoi errori, e quelli degli altri sponsor del Terrore, stanno solo accelerando la dinamica di una crisi sanguinosa di cui saranno chiamati a pagare il prezzo.