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Birmania, Aung San Suu Kyi verso una schiacciante vittoria

Nelle prime elezioni libere tenutesi in Birmania in 25 anni, la Lega Nazionale per la Democrazia s’avvia ad una vittoria a valanga, con percentuali che arrivano all’80% nei centri più grandi; lo stesso Usdp, il partito al momento al potere e strettamente legato ai militari, ha ammesso una sconfitta rovinosa.

Lo spoglio dei voti, soprattutto quelli di alcune aree rurali, continuerà per giorni e la commissione elettorale non si è ancora pronunciata, ma per Aung San Suu Kyi, leader ed anima di quella che fino a ieri era l’opposizione a un Governo espressione della casta militare, la via di un nuovo Esecutivo sembra spianata.

La vittoria, che nelle maggiori città ha assunto le connotazioni di un plebiscito, si è consolidata anche nelle campagne e negli stati etnici, sia pur con percentuali più basse.

All’opposizione, per la formazione di un Governo è necessaria una maggioranza di almeno il 67% dei voti, considerando che la Costituzione (redatta dalla Giunta al potere fino al 2010) riserva ai militari il 25% dei seggi. Pur con questo handicap, se non ci saranno sorprese sempre possibili in un Paese che nella sostanza non ha mai conosciuto la democrazia, a giorni dovrebbe essere varato il primo Governo libero della storia birmana.

Quella che attende San Suu Kyi, verosimilmente il prossimo premier, è una prova difficilissima, in cui dovrà dimostrare non solo di rettitudine e onestà intellettuale, ma anche consumata abilità politica e amministrativa.

Dal 1962 al 2010 la Birmania è stata ininterrottamente dominata da un brutale regime militare che l’ha isolata dal mondo, rendendola un Paese povero e sottosviluppato, con quasi un terzo della popolazione sotto la soglia della povertà malgrado la ricchezza di materie prime.

La feroce repressione dei militari contro i diritti delle minoranza etniche (Karen, Kahcin, Rohingya ed altre) hanno lacerato i rapporti con lo Stato centrale, provocando lunghi conflitti sanguinosi di difficile composizione a causa dell’interminabile serie di violenze. Inoltre, nel Grande Gioco delle diplomazie internazionali, ci saranno da ridisegnare i rapporti con la Cina, ingombrante vicino e protettore, e con Washington e Tokyo.

Il successo di San Suu Kyi si giocherà non solo sul ripristino dei diritti umani (sempre a rischio per l’ingombrante presenza dei militari), ma anche sulla capacità di strappare la Birmania alla povertà, difendere la sovranità minacciata da influenze esterne e ricomporre i tanti conflitti accesi con le minoranze.

Un compito immane con sul collo il fiato dei militari (e delle Potenze straniere) pronti ad approfittare di un suo fallimento per riprendere il potere.

di Salvo Ardizzone

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