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Palestina, crimini israeliani sulla pelle dei civili

Il 22 marzo si è celebrata in tutto il mondo l’International Water Day (giornata internazionale dell’acqua), istituita dalle Nazioni Unite nel 1993 con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo a milioni di persone che vivono ancora in penuria d’acqua, soprattutto in zone di guerra. Sul sito dell’agenzia delle Nazioni Unite, che si occupa del problema idrico nel mondo, si accosta spesso la parola acqua a uguaglianza. Forse l’accostamento non è totalmente privo di senso, dato quello che sta succedendo in Palestina.

La Palestinian Water Authority (Pwa) e la Palestinian Central Bureau of Statistics (Pcbs) hanno affermato che nel giorno internazionale dell’acqua, molti residenti dei territori occupati palestinesi vivono in carenza di acqua e quella fornita da Israele viola i requisiti standard per la fruizione. Mentre Israele, secondo tali autorità, raggiunge un livello di consumo fino a sette volte più alto di quello palestinese.

Altri stimano che Israele stia consumando l’85% dell’acqua destinata alla Cisgiordania. Tuttavia, non sono i numeri che contano. Migliaia di persone vivono senza acqua o con piccole quantità d’acqua di scarsissima qualità, in una regione quasi interamente desertica, per via delle prepotenze israeliane.

Palestina, l’acqua come arma

Secondo un’altra organizzazione mondiale, la World Health Organization (Who) l’acqua proveniente dalla Striscia di Gaza è addirittura peggiore rispetto a quella della Cisgiordania. In entrambi i casi però non si superano i criteri qualitativi internazionali per essere bevuta da adulti, donne, bambini e anziani.

In questo clima di incertezza quotidiana per quel lembo di terra che vede orrori quotidiani da decenni, l’ultima previsione dell’Onu arriva come il colpo di sciabola finale. Secondo la più grande e importante organizzazione internazionale, infatti, l’intero pianeta nel brevissimo arco temporale di 14 anni potrebbe soffrire di una diminuzione d’acqua pari al 40% dell’attuale capacità, se non si inverte drasticamente tendenza diminuendo l’inquinamento.

Per tornare alla situazione palestinese, le autorità continuano a denunciare il furto da parte del regime israeliano di 250 milioni di metri cubi di acqua estratti annualmente dal fiume Giordano. Come noto l’acqua non è finalizzata solo al consumo umano, ma anche all’agricoltura. In un territorio essenzialmente desertico come quello palestinese, l’agricoltura è da sempre la fonte di maggiori introiti per l’economia del Paese. Tuttavia, contadini e imprenditori agricoli sono privati dell’acqua necessaria per irrigare i loro campi.

di Carolina Ambrosio

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